Unioni civili, ecco di cosa si discuterà alla Camera

A chi si rivolgono? Cosa prevedono? Quali diritti e doveri ne derivano? In cosa differescono dal matrimonio? Un approfondimento
Parlamento

Viviamo un tempo nel quale l’accesso alle fonti di informazione è divenuto più facile e più veloce. Basta un click e si dispiega dinanzi a noi un mondo di notizie. Più di qualcuno ha, tuttavia, evidenziato il rischio che l’acquisizione delle informazioni possa avvenire in maniera superficiale, limitata alla lettura dei soli titoli, e quindi senza l’approfondimento necessario alla piena comprensione delle vicende che ci interessano. Una sorta di rinuncia alla fatica del pensare.

 

È anche per tale motivo che è importante impegnarsi a proporre ai propri lettori chiavi di lettura più meditate, suscettibili di mettere in moto una lettura critica e quindi più responsabile, soprattutto su temi suscettibili di cambiare i nostri costumi e i nostri modelli sociali.

 

È il caso del maxi-emendamento sostitutivo del disegno di legge sulle unioni civili (c. d. Cirinnà), recentemente passato al vaglio del Senato e in procinto di essere sottoposto alla Camera per l’approvazione definitiva. Provo quindi a sintetizzare, per chi appunto voglia approfondire, quali siano i contenuti caratterizzanti il disegno di legge in questione.

 

L’oggetto della normativa emananda è, nel capo primo del ddl, la disciplina del rapporto tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso, che vogliono organizzare la loro vita in comune, quale specifica formazione sociale.

 

Due persone maggiorenni, dello stesso sesso, possono dunque contrarre tra loro una unione civile che viene annotata nell’archivio dello stato civile di ogni comune.

 

Non è possibile accedere all’"unione” se vi è un vincolo matrimoniale in atto, se sussiste un vincolo derivante da altra unione civile tra persone dello stesso sesso, oltre che per le altre limitazioni (interdizione per infermità, vincolo di parentela, esistenza di specifiche condanne penali definitive) previste dalla legge.

 

La regolamentazione delle unioni civili ricalca, sostanzialmente, quella del matrimonio tant’è che fa riferimento ai medesimi articoli del codice per ciò che riguarda il cognome del partner, la separazione e lo scioglimento del vincolo, il regime patrimoniale e i diritti successori.

 

La volontà di equiparazione emerge in maniera palese dalla lettura del comma 20 del ddl che recita testualmente: ”le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi…, si applicano anche a ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

 

Come è noto è stata invece stralciata la disciplina della adozione in casi particolari anche se i tribunali, come era ampiamente prevedibile, si sono subito impegnati per “colmare la lacuna” (vedi recentissima sentenza del Tribunale di Roma).

 

Il provvedimento in esame prevede poi, come per il matrimonio, che dalla unione derivino una serie di diritti e di doveri come: l’assistenza morale e materiale, la contribuzione ai bisogni della famiglia, la coabitazione, ma con l’esclusione dell’obbligo di fedeltà (esclusione che non so fino a che punto sia un bene).

 

Il capo II del ddl è, invece, dedicato alla disciplina delle convivenze di fatto tra persone maggiorenni, non importa se dello stesso sesso o di sesso diverso, unite stabilmente da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile.

 

Ai conviventi è riconosciuta l’equiparazione ai coniugi per ciò che riguarda i diritti in tema di assistenza sanitaria e regime penitenziario.

 

Viene riconosciuto il diritto del convivente sopravvissuto alla successione nel diritto di abitazione, per un periodo non inferiore a due anni e non superiore a cinque, nonché il diritto al risarcimento del danno a seguito del decesso del convivente derivante da fatto illecito.

 

È riconosciuto ancora la possibilità per i conviventi di godere, a parità di condizione con i coniugati, di titoli preferenziali nella assegnazione di alloggi di edilizia popolare, il diritto a partecipare, in proporzione al lavoro prestato, agli utili dell’impresa del convivente e un titolo preferenziale nella nomina a tutore, a curatore o amministratore di sostegno.

 

È previsto altresì il diritto del convivente, in stato di bisogno, agli alimenti per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

 

È infine prevista la stipula, per atto pubblico, di un "contratto di convivenza” che regoli i rapporti patrimoniali tra i conviventi e la residenza comune.

 

Il contratto in questione può prevedere la scelta del regime patrimoniale nonché le modalità di contribuzione alla vita comune e si risolve per morte di uno dei due conviventi, accordo tra le parti o recesso da parte di una di esse.

 

Ci si augura che il piccolo contributo di approfondimento offerto con la disamina normativa proposta, possa contribuire all’arricchimento del dibattito in corso e al rasseneramento del confronto, condizione necessaria perché l’importante cambiamento sociale proposto sia frutto non della semplice iniziativa del Governo o del Parlamento ma sia recepito, finalizzato e digerito dall’intera collettività alla quale, almeno in teoria, dovrebbe essere diretto.

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