Una sosta a Dresda

Rasa al suolo dalle bombe alleate nel 1945, la città, nell'ex Germania orientale, è risorta a nuova vita. Ed esibisce un'eleganza non ancora rovinata dal turismo di massa.

La “Firenze sull’Elba” è bella, tirata a lucido, con le chiese e i palazzi dorati rifatti tali e quali prima della distruzione nel 1945 ad opera del bombardamento alleato che uccise quasi 20 mila persone. Chi è più anziano non lo dimentica, come non dimentica i lunghi decenni sotto il regime comunista, il cui stile architettonico anonimo ancora si osserva in alcuni edifici pubblici e nei condomini.

 

Ma oggi la città di oltre mezzo milione di abitanti, adagiata nell’ampia valle dell’Elba, patrimonio dell’umanità, è in pieno fermento, perché il suo centro storico è risorto a nuova vita. Ci sono voluti anni di lavoro: un edificio importante del barocco come la Fraukirche, voluta da Lutero – che ci osserva dal suo monumento sulla piazza antistante – dopo trent’anni in cui era rimasta un cumulo di macerie, è stata ricostruita e inaugurata nel 2005 con una grande festa.

 

Per chi ama l’arte, è indispensabile una visita a due ambienti di enorme suggestione: il Teatro d’Opera e la Galleria dei maestri antichi, ovvero la Gemaldegalerie. Insieme ad un amico che mi fa da guida ci accodiamo ad un gruppo di turisti – anche italiani, sorpresa! – per visitare il teatro (ricostruito), lussureggiante di stucchi e di specchi, con un programma fittissimo di eventi musicali (quasi tutti dei prediletti Wagner e Mozart) ed una sala non troppo grande, per fortuna, e dall’acustica eccellente. Non per nulla vi suona un’orchestra di elevata qualità come la Staatskapelle, diretta da un italiano “emigrato” come Riccardo Chailly, che è la più antica del mondo.

 

Quando poi si entra nei saloni della Gemaldegalerie, rivestiti di marmi, con centinaia di quadri appesi alle pareti, si capisce perché questo sia uno dei luoghi di contemplazione artistica più famosi del mondo. Ho parlato di contemplazione, perché qui i visitatori – anche i turisti… – tacciono e osservano in silenzio. Cuore dell’edificio è la Madonna Sistina di Raffaello, comprata da Federico Augusto II nel ‘700 a Piacenza dai monaci per cui fu dipinta nel lontano 1513. Un re, questo, ingordo di opere italiane, se è vero che possedette una serie nutrita di Correggio, “comprati” in Emilia.

 

La “Sistina” come la chiama semplicemente il mio amico, che passa due ore ad osservarla, è la più bella madonna di Raffaello. Una madre che appare direttamente da un paradiso di angeli, spinta da una luce lunare, e presenta a tutti il figlio. Il colore è morbido come appunto lo si vede nel plenilunio, i gesti sobri di estrema naturalezza, anche nei due santi laterali, il papa Sisto (cioè Giulio II) e santa Barbara. Al bordo della tela stanno i due celebri angeli, estasiati davanti a questa apparizione che porta il divino in terra, soavemente, come scendesse da un piano inclinato.

 

Nella sala precedente si allineano le tavole del Correggio, le sue Madonne e santi pieni di vitalità, di un colore festoso, di una gioia fisica dei sensi che è serena, non conosce colpa. Come non conosce ombre la famosa Venere di Giorgione – una tela che non esce mai da Dresda –, un nudo purissimo disteso nel sonno. Poco notata dai visitatori, purtroppo, attratti da Raffaello, essa è la porta d’ingresso della pittura veneziana nel pieno Rinascimento, imitata da tutta Europa per secoli.

 

Ma qui i capolavori si sprecano: Antonello, Bellini, Rembrandt, Canaletto e Bellotto. Quest’ultimo dipinge delle vedute cittadine che ancor oggi si possono rivedere tali e quali, come mi fa notare chi è con me, portandomi poi, dopo il museo, ad una salutare sosta su un battello nel fiume. Qui ci sorbiamo una bevanda fresca, perché il caldo si fa sentire. Ma anche perché si rischia la “sindrome di Stendhal”, fra dipinti, architetture, musiche e un paesaggio incantevole: dove si muove veloce la gente che va a piedi o in bicicletta, bionda e snella per lo più. Elegante come lo merita una città che sta ritrovando l’antica armonia, anche nei moderni edifici, per nulla stonati con la “città vecchia”, non ancora rovinata dal flusso del turismo “mordi e fuggi”.

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