Una politica per il lavoro

Temi scottanti che meritano approfondimento e aprono spazi di dibattito tra istituzioni, rappresentanti sindacali e aziende
Ap Crisi Finanza

Finalmente dopo cinque mesi abbiamo nuovamente un ministro delle attività produttive: le aspettative sono tante, ma ahimè ben poco egli potrà fare se non gli saranno affidate quelle risorse in più che sono necessarie per adottare quel provvedimento che ormai in Italia tutti auspicano, la riduzione del costo del lavoro: le imposte su di esso sono così alte che in tasca ad un lavoratore in regole giunge solo la metà di quanto esce dalle casse dell’azienda.

 

In momenti di difficoltà queste alte imposte spingono le aziende che non vogliono trasferirsi in  paesi dove il lavoro costa meno, a ridurre al minimo il bisogno di lavoro umano, magari investendo in macchine che non hanno diritto a ferie e permessi non retribuiti e che possono essere lasciate ferme in magazzino senza creare problemi sociali.

 

Lo stato non può però indebitarsi più di tanto, e per ridurre le imposte sul lavoro,  non volendo lottare senza esclusione di colpi contro l’evasione, perché gli evasori votano, occorrerebbe aumentare le imposte sulle rendite finanziarie; ma anche i risparmiatori votano, e per lo stesso motivo il governo non vuol decidere quello che una equità nel trattamento tra cittadini  richiederebbe.

 

Non sono possibili miglioramenti a costo zero? Per finanziare la estensione dei benefici della cassa integrazione, oggi in Italia si stanno spendendo i nove miliardi di euro che l’Europa aveva assegnato per sostenere lo sviluppo delle aree più bisognose: queste risorse vengono così spese senza prospettive di ritorno, per assicurare uno stipendio normalmente insufficiente a lavoratori espulsi dalla produzione per la crisi economica.

 

Chi riceve questi soldi di solito non è contento, perché rimanendo a casa é escluso dalla vita dell’azienda col timore di non potervi rientrare e di perdere opportunità e professionalità: a mio parere sarebbe molto meglio se lo stato mettesse l’azienda in condizione di mantenere la persona al lavoro, utilizzandola non per la produzione ma per la ricerca e la innovazione.

 

Si tratterebbe di rendere possibile per legge, quando si è in cassa integrazione, di ricevere dall’azienda un contributo integrativo, magari il complemento per tornare allo stipendio pieno, essendo assegnati a lavorare in progetti di ricerca, sotto il controllo del sindacato e delle autorità del lavoro: non si tratterebbe di lavori fasulli, perché il datore di lavoro contribuisce al loro costo, quindi deve crederci:  da queste attività possono nascere i prodotti che rilanceranno l’azienda.

 

La ricerca non è solo quella degli scienziati in laboratori di nano tecnologia o robotica pieni di strumenti costosi: questa opzione potrebbe essere adottata da tantissime aziende, perché  è ricerca anche quella del pasticcere che affida a qualcuno dei suoi l’incarico di inventarsi nuove torte ed a qualcun altro quello di creare un sito Web tramite cui poterle commercializzare oltre il quartiere, è ricerca anche quella della sarta che fa lavorare alcuni dei suoi per  realizzare una nuova collezione di abiti di cui  sarebbe utile disporre, se si potesse realizzare a prezzo contenuto.

 

Nel caso poi dei lavoratori di linee di montaggio di grandi aziende, potrebbe essere molto utile il rendere possibile per legge il poter ricevere oltre alla cassa integrazione un contributo di rimborso spese per chi si prestasse ad un volontariato, ad esempio nella Protezione Civile, nella Croce Rossa o altre ONG, che metterle in condizione di fornire maggiori servizi utili senza stipendiare persone a tempo pieno con risorse di cui non dispongono.

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