Una complicità feconda

Una comunione che attraversa tutta la vita e ogni aspetto della quotidianità e implica una completa donazione di sé, fino al sacrificio: il “segreto” per vivere in pienezza il matrimonio. Una riflessione di Giulia Paola e Attilio Danese in  A cuore aperto, riflessioni sul significato del matrimonio (Città Nuova, 2014) di Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn.
Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn ed. A CUORE APERTO_CN 2014

L’uomo e la donna che si amano ricreano il mondo, come fossero un centro generatore di nuova vita. In particolare il lavoro della mente non può essere orientato solo alla realizzazione di sé, al prestigio, alla carriera. Richiede silenzio, impegno di ore e ore davanti al computer e ai libri, gusto di aprire la mente alle idee nuove e all’incontro con autori ignoti, conquistando frammenti di verità.

La fecondità intellettuale nasce dal costante confronto a due voci, quella maschile e quella femminile, che cercano di raggiungere pensieri convergenti e li verificano col mondo esterno. Così facendo, essi sono responsabili di una nuova creazione. Nella nostra esperienza amarsi ha significato valorizzare la complicità dell’amore nell’impegno culturale, all’università, nella fondazione del Centro ricerche personaliste e della rivista «Prospettiva persona», nella promozione di incontri e concerti.

Abbiamo spesso ricordato quanto ha scritto Raïssa Maritain, raccontando l’incontro con Jacques: «Dopo le lezioni mi accompagnava a casa […] Avevamo molta strada da fare e le nostre conversazioni erano interminabili […] Non esisteva niente al di fuori di ciò che dovevamo dirci: bisognava ripensare insieme l’universo intero, il senso della vita, la sorte degli uomini, la giustizia e l’ingiustizia della società. Bisognava leggere i poeti e i romanzieri contemporanei, frequentare i concerti classici, visitare i musei di pittura […] Il tempo passava troppo in fretta e non potevamo sprecarlo nelle banalità della vita […] Un altro Qualcuno aveva prestabilito fra di noi, malgrado così grandi differenze di temperamento e di origine, una sovrana armonia».

Non tutti hanno la fortuna di studiare e lavorare, come è capitato a noi; vi sono lavori meno gratificanti per la creatività e la libertà umana. Tuttavia ogni coppia può dare senso alla fatica del lavoro vivendola in relazione ai propri cari e alla società tutta.

Il sudore appare qualche volta una condanna («Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» Gen 3, 19), ma racchiude un significato relazionale ed eucaristico: ciascuno mette un tassello indispensabile al grande mosaico dell’opera umana e consuma se stesso fino alla morte per rendere il mondo più umano e abitabile, per conformarlo a quell’Eden ideale da ricostruire.

Si realizza così una kenosi dell’uomo e della donna che lavorano: un movimento discendente, che li annichilisce nelle cose, e uno ascendente, per cui la realtà si umanizza (allo stesso modo Dio si fa uomo affinché l’uomo si faccia Dio).

Non si ama veramente se non si è disposti a sacrificare qualcosa o tutto di sé per l’altro senza farglielo pesare, senza aspettarsi un compenso, senza atteggiarsi a eroe, semplicemente perché non si può fare altrimenti. Il coniuge può sentirsi impotente di fronte al male, ma condivide la sorte (con-sorte) fino a sentire nelle sue viscere il dolore dell’altro. Questa sintonia nella sofferenza ha il potere di lenire il dolore, allargando il cuore, aprendo pertugi di speranza.

Talvolta sono eventi disastrosi e imprevisti a far traballare l’unità della coppia: un crack finanziario, una malattia, una morte… Non è facile valorizzare il negativo, intravedendovi una chiamata all’interiorità, forse un’occasione di approfondimento del rapporto, comunque un evento che annuncia sentieri nuovi e più abbondanti frutti. Spesso la sofferenza è suscitata da offese, volontarie o involontarie.

L’abate, oggi beato, cardinale Schuster ricordava che persino la Regula Sancti Benedicti esige il Pater noster a compieta, con la motivazione: «Propter offendicula caritatis quae solent oriri». Tanto più è necessario per gli sposi tenere fede alla regola del perdono, indispensabile a superare momenti di indifferenza, conflitto, tradimento. Talvolta è necessario ripensare le motivazioni del matrimonio, altre volte occorre imparare ad amare senza sentirsi amati, oltre il gelo che ha ormai invaso il rapporto. È questa la specifica “cattiva sorte” degli sposi, la loro “croce”. Essi devono decidere se fuggire o rispondere segretamente alla chiamata che quel dolore porta in sé. È una scelta che decide non solo del matrimonio, ma della vita stessa.

Non mancano sposi che grazie al perdono vedono nascere nell’anima una saggezza inaspettata e una speranza lungimirante. Che siano credenti o no, a un certo punto constatano che la situazione si è sbloccata, che la disposizione di vigile attesa ha preparato un’insperata risurrezione dell’amore. Le sofferenze patite sembrano allora comporre un ricamo il cui splendore è possibile percepire solo ex post, osservandolo dall’altra parte del tessuto, da dove si vede il senso dell’insieme. La pedagogia dell’amore ha reso trasparenti gli sguardi e li ha preparati all’Amore.

 

Da A CUORE APERTO, riflessioni sul significato del matrimonio, a cura di ALdegonde Brenninkmeijer-Werhahn, (Città Nuova, 2014).

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