Un sospiro di sollievo davanti al burrone

  Il mondo ha accolto con favore la notizia di un accordo sugli aumenti automatici delle tasse negli Usa. Ma i media americani evidenziano come si tratti di un compromesso di breve periodo
FISCAL CLIFF

 

Il vicepresidente americano Joe Biden esce dal palazzo del Campidoglio (di Washington, beninteso) con i pollici alzati: è questa la foto di apertura del San Francisco Chronicle che, forse ancor più delle immagini di Obama mentre pronuncia il suo discorso sul podio della sala stampa, esprime l'atmosfera che si respira oltreoceano per il compromesso raggiunto sul fiscal cliff, ossia gli aumenti automatici delle tasse – 3500 dollari in media – e tagli ai servizi pubblici che con l'anno nuovo avrebbero colpito il 99 per cento delle famiglie americane. Tutti i media riportano con dovizia – con tanto di quiz «Quanto nei sai sul fiscal cliff?» del Los Angeles Times– i dettagli dello scampato pericolo: l'aumento delle tasse sui redditi sopra i 450 mila dollari, ottenuto dopo una dura battaglia che ha visto diversi repubblicani votare insieme alla parte avversa  “turandosi il naso”, consentirà infatti di mantenere le esenzioni per i redditi bassi e gli studenti, i sussidi per due milioni di disoccupati, evitare un aumento del 27 per cento dei ticket sanitari, i tagli automatici alle politiche sociali e alla difesa, che avrebbero aperto una nuova fase di crisi negli Usa col rischio che il resto del mondo seguisse a ruota. Insomma, «Obama ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale ancor prima di iniziare il nuovo mandato», osserva il Los Angeles Times.

 

Ma si tratta pur sempre di un compromesso, si diceva: perché con questa misura, approvata dalla Camera con 267 voti a favore e 167 contrari, «la Casa Bianca non ha mantenuto la promessa di eliminare i benefici fiscali concessi da Bush ai redditi superiori ai 250 mila dollari – osserva Ezra Klein sul Washington Post – concordando invece una soglia di 450 mila; ma allo stesso tempo ha ottenuto una crescita delle entrate di 600 mila dollari con l'aumento delle tasse al di sopra di quel limite, 30 milioni di dollari per i sussidi di disoccupazione, e cinque anni di esenzioni fiscali per la crescita, senza dover concedere alcun significativo taglio alla spesa».

 

Un colpo al cerchio e uno alla botte, che però non farebbe altro che spostare l'asticella della prossima battaglia: e il Los Angeles Times infatti, nell'articolo Obama vince, ma a quale prezzo?, fa notare come «il nuovo Congresso che si insedierà tra poco dovrà iniziare un altro negoziato per la riduzione del deficit di lungo termine, ed alzare il tetto del debito prima che il governo non sia più in grado di pagare i propri conti: una scadenza che arriverà tra febbraio e marzo e rischia di bloccare le altre priorità dell'agenda Obama, tra cui l'immigrazione e il controllo delle armi». Inoltre, accettando di porre il limite per l'aumento delle tasse a 450 mila dollari invece dei 250 mila promessi, «Obama ha ottenuto un miliardo di dollari in meno di entrate rispetto a quanto previsto: e questo lo costringerà alla fine a tagliare sull'assistenza sanitaria e sulle politiche sociali». E questi sono solo alcuni dei punti su cui il presidente appena rieletto ha dovuto cedere, e che minerebbero l'efficacia del provvedimento sul lungo periodo.

 

Per quanto, poi, si sia evitato lo spettro di una recessione globale dovuta al rallentamento dell'economia americana se il fiscal cliff fosse diventato realtà, «gli investitori hanno subito rivolto l'attenzione agli ostacoli imminenti che i mercati devono affrontare – osserva il New York Times –: anche così è previsto un calo dell'1 per cento della crescita economica nel primo trimestre del 2013, soprattutto per l'aumento delle tasse sul lavoro; e inoltre pesa il mancato raggiungimento di un'intesa di lungo termine sul debito pubblico». Per cui, come conclude il Post, «non potremo sapere chi ha vinto la battaglia sul fiscal cliff fino a quando il Congresso non affronterà la questione del tetto del debito pubblico: la Casa Bianca ha già promesso che non negozierà, ma se i repubblicani vogliono maggiori tagli alla spesa, come contropartita potranno offrire solo ulteriori aumenti delle tasse». Insomma, il gioco ricomincia tra poche settimane.

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