Un “sì” rinnovato ogni giorno

L’incontro con il carisma dell’unità e la consacrazione a Dio. Il servizio in comunità e con i poveri. Quando il “fare” prende il sopravvento: come ritrovare l’equilibrio?
Carla Casadei

Sono Carla, francescana dei poveri. Il mio rapporto con Chiara Lubich risale a quando ero adolescente: insieme ad altre mie coetanee avevo aderito alla sua vita e al suo carisma con entusiasmo e generosità, cercando di vivere la Parola di Vita, una frase del Vangelo commentata da Chiara ogni mese, e di restare sempre nell’amore. Avevo in cuore un grande desiderio: concorrere alla realizzazione del testamento di Gesù: “che tutti siano uno” (cf. Gv 17, 21).

 

Una domanda

 

Facevo perciò le prime piccole esperienze di amore concreto, cercando di andare controcorrente e di essere sempre disponibile nei piccoli servizi in casa, in parrocchia, con i miei compagni di liceo. Questo mi dava una gioia semplice, profonda, che però mi faceva sentire un po’ diversa dalle mie coetanee, che invece cercavano la felicità in modo confuso ed effimero.

 

Mi ricordo che a 18 anni, in un colloquio personale, il vescovo della mia diocesi mi chiese se fossi stata pronta a rispondere all’Amore di predilezione di Dio per me anche nella via della consacrazione. Fu un seme germogliato nel tempo, quando a 21 anni capii che era questa la via che il Signore mi indicava per realizzare il suo disegno su di me, nella fedeltà al carisma dell’unità che avevo incontrato.

 

Ero in ricerca e scrissi alla segreteria internazionale delle consacrate del Movimento dei Focolari. Valeria Ronchetti, una delle prime compagne di Chiara, mi rispose personalmente e mi invitò a Roma per conoscere le Francescane dei Poveri.

 

Un nuovo “sì”

 

Negli anni ‘70, in mezzo alla crisi generale del post-concilio, la mia congregazione aveva vissuto un forte rinnovamento, grazie all’incontro con il carisma dell’unità. Mi attrasse il fatto che queste religiose, fortificate dalla presenza rinnovata di Gesù fra loro, avevano rivitalizzato la loro famiglia con nuove vocazioni e avevano fatto scelte coraggiose per servire gli ultimi e i poveri, così come F. Schervier, la nostra fondatrice, aveva fatto nella Germania di metà ‘800.

 

È questa l’esperienza che tante consacrate, illuminate e fortificate dalla spiritualità dell’unità, fanno nelle loro congregazioni: per la riscoperta nuova dei loro fondatori si sentono spinte a una maggiore fedeltà e radicalità nel vivere la propria vocazione, a un impegno personale maggiore all’interno della loro famiglia, e a inserirsi nei tessuti della società più povera e svantaggiata con amore creativo, nella donazione e nel servizio.

 

Il distacco dalla mia famiglia per seguire Gesù non fu facile, per i problemi di salute dei miei genitori che vedevano allontanarsi la figlia sulla quale contavano per la loro vecchiaia. Ma la certezza dell’amore di Dio che mi chiedeva tutto dall’alto della croce era più forte. Già da giovane, come gen, la generazione giovanile del Movimento dei Focolari, avevo conosciuto la preziosità dell’amore a Gesù crocifisso e abbandonato: ora non volevo perdere l’occasione di ripetere – come allora – il mio sì totalitario a Lui, che è l’unica via per la realizzazione dell’unità.

 

La prima “palestra”

 

Dopo il tempo della formazione, ho vissuto tre anni vicino ad Assisi, dove mi fu chiesto di inserirmi in un programma di pastorale giovanile diocesana. Quel tempo rappresentò la mia prima palestra nel saper mettere in pratica l’amore di Dio in tutti i suoi aspetti (apostolato, vita fraterna, preghiera, studio, ecc.), in modo tale che, così come Chiara Lubich ci aveva insegnato, la mia vita fosse in ogni momento della giornata una risposta a tale amore.

 

Era lui, Gesù, che mi indicava la via per amare la sorella più anziana e malata, o ad avere pazienza e a saper vedere sempre nuova quella che era nervosa e insofferente, a recarmi nella parrocchia e cercare di collaborare con il parroco che invece non sopportava le religiose, a essere coerente e fedele all’orario del lavoro in un grande centro per disabili dove svolgevo un servizio di riabilitazione.

 

Amare le consorelle

 

Quando dopo tre anni lasciai quella comunità, mi sembrava di aver seminato tanto, ma di non vedere i frutti di tutto quel lavoro, come se tutto fosse stato invano e un grande fallimento.

Anche in quel momento mi trovai davanti a Gesù Abbandonato, che dall’alto della croce, pur vivendo il più grande fallimento, aveva saputo rimettersi con fiducia nelle mani del Padre. Ancora una volta non potevo rifiutare il mio sì per una nuova volontà di Dio che, esigendo il distacco dal bene che avrei potuto operare, avrebbe portato avanti il suo disegno su di me.

 

Con quel taglio, Dio mi chiedeva di ricominciare altrove e di mettere a disposizione i miei doni a servizio della mia famiglia religiosa. Mi fu chiesto, infatti, di lavorare nell’amministrazione e nella segreteria, servendo le mie consorelle in Italia e all’estero. La vita riprese a pieno ritmo, senza soste, in mille piccole e grandi responsabilità. Mi accorsi allora di quanto fosse più facile amare i poveri che le sorelle in casa!

 

Ogni giorno era necessario che avessi occhi nuovi con i quali vedere la sorella così come la vedeva Dio e cercare di rispondere ai suoi bisogni più concreti nella piena carità, disinteressatamente, con tanta pazienza. Una ginnastica continua, al servizio di tutti, senza distinzioni o preconcetti, accogliendo pienamente ogni fratello o sorella, dimentica di me stessa, per portare con lui o con lei il peso della fatica dell’apostolato o della salute precaria.

 

Spesse volte mi sono sentita chiamata da Dio a preferire nella comunità le sorelle più deboli, o le più difficili, per iniziare da lì a costruire l’unità. Una sera, ero particolarmente presa dal mio lavoro e avrei voluto completarlo in fretta, senza interruzioni. Sapevo però che in comunità si stava vivendo un momento difficile e si respirava un’aria pesante. Così lasciai ciò che dovevo fare e proposi un momento di fraternità e di svago insieme. Con una semplice partita a carte e quattro risate si ristabilì la comunione e l’unità fra tutte.

 

Ci sono stati momenti anche molto difficili, in cui sembrava che il male e la disunità prendessero il sopravvento e che penetrassero così profondamente nelle fibre della Chiesa, da pensare che l’amore di Dio per me e per la mia famiglia religiosa fosse completamente oscurato. Ma Gesù Abbandonato era proprio presente lì, in quella sofferenza, in quei momenti di smarrimento, in quei vuoti, in quel buio. Ho trovato conforto, credendo che Lui fosse con me tutti i giorni, continuando a essergli fedele nel vivere la sua Parola e ricominciando sempre dopo ogni sbaglio o caduta.

 

Condividevo poi i frutti, ma anche le fatiche, le gioie e le speranze con altre religiose che vivono la spiritualità dell’unità, in uno scambio di comunione profonda da cui ricevevo tanta luce e forza. L’incontro con consacrate di altri istituti mi ha arricchito e mi ha fatto aprire lo sguardo verso gli altri carismi della Chiesa, per godere della bellezza di ciascuno, perché, come Chiara Lubich una volta ha detto, ogni carisma è come un fiore unico che abbellisce il giardino della Chiesa.

 

A Loppiano

 

Negli ultimi tempi, tuttavia, pur nello sforzo di amare Dio e il prossimo, spendendo tutta me stessa, cuore, mente e forze, mi ero lasciata travolgere dagli impegni e dal lavoro; mi sono resa conto che avevo dato più importanza al fare, piuttosto che all’essere e al rapporto con Gesù, mio Sposo.

Ho chiesto perciò di vivere un tempo di riposo e di passare una parte del mio anno sabbatico nella Casa Emmaus, il Centro di spiritualità di comunione per le consacrate che si trova a Loppiano, cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, vicino Firenze, dove tutti gli abitanti di ogni età e vocazione, per realizzare il testamento di Gesù si impegnano a vivere il Vangelo e a comporre così un piccolo bozzetto di società nuova.

 

Questa esperienza è per me unica e preziosa, perché ho l’opportunità di costruire l’unità con religiose di altre nazioni e istituti diversi. È Lui, Gesù presente fra noi, che dà valore e armonia a tutti i momenti della giornata, che sana le nostre ferite passate, che si riflette nell’ordine e nell’armonia in casa, che dà sapienza nello studio, che fa emergere energie e capacità nuove anche in lavori mai fatti prima.

 

Un esempio: per alcune ore lavoro in un’azienda della cittadella che si occupa di moda e mi trovo fianco a fianco con persone di diverse nazionalità e vocazioni. La mia precedente esperienza di lavoro era basata sull’efficienza e sulla velocità, per ottenere il massimo rendimento. Ora mi rendo conto che invece lavorare con Gesù fra noi, significa mettere al primo posto la persona, non tanto il risultato. Certo, conta anche questo, ma nella misura in cui è fatto con amore. Mi ritrovo così seduta alla macchina da cucire a fare sempre le stesse cose, oppure a scucire ciò che non è riuscito bene, ma tutto è un’autentica scuola di vita.

 

Un’altra esperienza: un giorno una di noi non stava bene, era triste e si era chiusa in un lungo silenzio. Io avrei voluto dirle qualcosa, o ascoltarla, ma la differenza di lingua ce lo impediva. Mi sono resa conto che potevo solo starle vicino, rispettandola nel suo silenzio, vivendo in modo sacro il suo dolore e pregando per lei, affinché sentisse l’amore di una sorella che accanto a lei cercava di trasmetterle pace e conforto. Eppure la luce e la serenità non tornavano.

 

La Parola di Vita del mese di marzo diceva: “In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: ‘Spòstati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17, 20). Mi chiedevo: può la differenza di culture, di mentalità, di caratteri essere un ostacolo, una barriera all’unità? Allora mi sono resa conto che io dovevo fare per prima la mia parte, affinché Dio potesse fare il resto: mi sono avvicinata a lei e le ho chiesto scusa se per qualche motivo, anche non volutamente, l’avevo ferita. Non abbiamo potuto parlare di più. In chiesa poi ho affidato tutto a Gesù, chiedendogli di colmare quel vuoto, di spostare quella montagna, perché potesse ristabilirsi la sua presenza fra noi. E così è stato, con una scelta tutta nuova, da parte di entrambe, di Dio solo.

 

La vita che vivo a Loppiano, giorno dopo giorno, mi riconferma sempre più nella mia vocazione di francescana dei poveri, e mi spinge a voler continuare sulla strada dell’unità, perché si sveli il suo disegno futuro su di me e possa compierlo con slancio e totalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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