Un invito alla famiglia: uscire allo scoperto

Di crisi della famiglia si parla da sempre, a partire dalla prima famiglia, colpita, come racconta la Bibbia, da una grossa crisi etica iniziale e poi da seri problemi di conflittualità tra i figli. È un aspetto della convivenza sociale che periodicamente torna di moda. Il 15 maggio scorso si è celebrata la IX Giornata internazionale della famiglia, istituita dall’Onu nel 1994 per tener desta in qualche modo l’attenzione sulla prima cellula della società. Quel giorno quasi tutti i media ne hanno parlato. Oggi il sociologo (almeno in occidente) fotografa un modello di famiglia che ha paura, che non sa coniugare insieme affettività, sessualità e genitorialità, che non sa decidersi tra sistemi di valori contrapposti. Per cui i giovani non si sposano, se si sposano non hanno figli e stanno insieme sempre di meno. Da dove nasce questa situazione? È frutto di una mutazione genetica originata da spinte culturali ineluttabili, o qualcuno ha delle colpe? Ci sono dati concreti che dicono di sì. L’Italia, ad esempio, spende il 3,7 per cento della ricchezza prodotta in un anno per la famiglia, contro una media europea dell’8,5. Non sono chiacchiere. Significa meno attenzione, meno servizi, meno tutele. Ne consegue che il primo figlio abbassa il tenore di vita della copia del 22 per cento; il secondo figlio di un altro 22,5 per cento; e così via. Pare che non esista, in realtà, un rifiuto preconcetto del matrimonio e della famiglia nella maggioranza dei nostri giovani. Il fatto è che, giunti alla fine di studi interminabili, inseriti a fatica nel mondo del lavoro, si chiedono se vale la pena avventurarsi in un vago modello di famiglia (quale, in tempo di pluralismo famigliare?), con la prospettiva che ciò significa aver meno tempo, compromettere guadagni e carriera. Così va la vita in questo paese, dove è possibile dedurre dalla denuncia dei redditi le spese veterinarie per il cane e non quelle per crescere i figli! Come non capirli? Il fatto è che, se si fermano un po’ troppo a pensarci su, rischiano di venire ostacolati nella genitorialità dai limiti biologici. La fascia media di fecondità infatti ha confini abbastanza precisi. Nella Sala della Lupa a Montecitorio, il governo italiano ha incontrato i rappresentanti dell’associazionismo famigliare, con schieramento di ministri e sottosegretari; a conferma di un’attenzione che forse non è più soltanto promozione elettorale. Perché si comincia a capire che parlare di politiche sociali prescindendo o non partendo dalla famiglia è un grave errore di prospettiva. E il libro bianco sullo stato sociale ne è la riprova. “La famiglia è istituzione del futuro – ha affermato quel giorno il sociologo Donati – perché attraverso l’alleanza della coppia, che genera una nuova vita, incorpora in sé la garanzia dell’avvenire della società”. Ma se è così il nostro futuro è a rischio. C’erano, come detto, i rappresentanti dei movimenti famigliari, protagonisti di quella primavera di autocoscienza che sta ottenendo alla famiglia italiana una sorta di nuova “cittadinanza” sociale, politica, culturale. Sono movimenti che quasi sempre nascono da radici spirituali profonde e straordinariamente ricche. Le spinte ideali e le indicazioni comportamentali, quindi, sono in genere illuminanti e capaci di indicare piste nuove alla soluzione di tanti problemi dell’esistenza. Il limite spesso sta nella traduzione concreta di questi valori ideali: se non si trasformano in azioni, in prassi, se non generano poi proposte di leggi, provvedimenti amministrativi, la “redenzione” del sociale rimane una pia intenzione. Spesso queste belle ed eroiche famiglie non sempre riescono a recepire l’unitarietà del progetto cristiano; si dedicano soprattutto alla formazione spirituale, senza avvertire la pari urgenza e necessità dell’impegno sociale. Come forse i lettori ricordano, il sistema del welfare (attraverso la legge 328 del 2000) è stato trasferito agli enti locali: regioni, province ma in particolare modo ai comuni.Allora la nuova sfida che si apre è sì per leggi-quadro a livello nazionale, ma soprattutto per i provvedimenti amministrativi a livello locale, lì dove la famiglia si forma, vive, soffre e cresce. Vivere nel territorio, tra la nostra gente, per la nostra gente: questo potrebbe essere lo slogan d’oggi per le famiglie dei movimenti. Con tanti altri frutti collaterali, come rendere visibile il modello di famiglia in cui credono e, contemporaneamente, trasferire nel tessuto sociale i semi di valori ideali di cui sono portatrici. Senza dimenticare che questa apertura sociale è una componente essenziale della vita di coppia e della dinamica cristiana.

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