Un giornalista al Sinodo

"La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa" è stato il titolo del Sinodo dei Vescovi che si è svolto nel 2008. Vivendo la Parola, la comunità  genera Cristo, colui che dà  contenuto e metodo al dialogo con tutti.
Parola di Dio

Un Sinodo sulla Parola non è fatto per suscitare la curiosità dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica: affare interno della Chiesa, si è portati a pensare, con poca attinenza con i problemi del mondo e della società.

 

La mia impressione di giornalista, che l’ha seguito con attenzione, anche se non con grande assiduità, è diversa. Un Sinodo è fatto di persone che possono renderlo più o meno interessante, più o meno attuale, più o meno sensibile alla realtà. Posso dire che i partecipanti, nella grande maggioranza, sono stati “intelligenti”, cioè hanno dimostrato di capire il vero senso della Parola come realtà viva che attraversa la storia in profondità e le dà significato e vita.

 

La Parola non si riduce a un libro, sia esso sacro come la Bibbia, non è un fatto da biblioteca o da sala universitaria, ma ha un corpo, una voce, un udito: è Persona, Cristo vivo.

 

Di fronte a questa affermazione fondamentale ho sentito come, per la Parola, il mondo è importante, perché interpellato, ma prima ancora ascoltato da Qualcuno che non parla per mandare dei messaggi, ma per rispondere a un appello, a una domanda, a un grido.

 

I partecipanti al Sinodo hanno potuto dire questo, perché l’hanno vissuto in prima persona: il loro parlare era preceduto e appoggiato su un silenzio pieno di ascolto. I lavori dell’Assemblea cominciavano ogni mattina con la preghiera dei Salmi e la proclamazione commentata di un brano della Bibbia: un’icona di quell’ascolto.

 

Laicità della Parola

 

Naturalmente, fra i presenti al Sinodo la prevalenza era dei Vescovi, ma quest’anno sono aumentati i sacerdoti, i religiosi e le religiose e particolarmente i laici e le laiche. Una presenza non solo numerica, ma anche di espressione: i laici hanno parlato nelle riunioni generali e, soprattutto, nei gruppi da cui sono uscite le proposte presentate al Papa per la redazione del documento finale.

 

Anche questo è stato per me simbolico, anche se ancora in fase iniziale: un Sinodo sulla Parola non poteva essere clericale, perché la Parola è laica. Ho detto che si tratta di un fatto iniziale, perché riflette il peso clericale che ancora grava sulla Chiesa e non le permette per ora di rivelare pienamente il suo volto “cattolico”, cioè universale, fatto di donne e uomini comuni, di bambini, di giovani, di operai, professionisti, artisti, politici… È a questi che la Parola si dirige ed è questi che la Parola ascolta.

 

Perché Abramo era un laico, come prima di lui Noè e poi Mosè, Davide, Isaia, Geremia, Anna, Giuditta, fino a Giovanni il Battista, Maria e…Gesù, il laico per eccellenza, lui, la Parola.

 

La Bibbia è la storia di un popolo, che in alcuni momenti va al tempio e alla sinagoga, ma che vive la maggior parte della sua esistenza fuori, sulle strade, nei campi, va in guerra, fa festa, piange, canta, mangia e beve. Il Sinodo ha ricuperato questo spessore umano della Parola, pur non dimenticando affatto il suo rapporto con la preghiera, in particolare quella liturgica.

 

Detto fra parentesi, mi ha fatto tenerezza leggere un commento come questo: “Un passo importante in avanti nella promozione della donna: proposta del ministero del lettorato alle donne”. Niente contro la proposta (fra l’altro, fatta dal Sinodo senza sbandieramenti), ma certamente ci vuol altro per la promozione della donna, la quale – va notato – per quanto la riguarda ha raggiunto notevoli progressi nella sua presenza efficace nella Chiesa. Il che dovrebbe tranquillizzare gli uomini della struttura a fidarsi maggiormente di lei.

 

Ritornando alla laicità della Parola, molti interventi hanno aperto a questa dimensione, specialmente in due direzioni: la sua presenza al di là della Chiesa e della stessa Bibbia; la sua umanità.

 

Come missionario mi sono sentito stimolato nella mia vocazione di “ricercatore” della Parola (insieme ad annunciatore e testimone): la Parola parla. Non è un gioco di parole (mi si scusi la ripetizione), ma esprime la sua natura. Molto semplicemente. Che Parola sarebbe se non parla? E chi le può proibire di parlare dovunque? La Bibbia e la Chiesa non ne possono rivendicare il monopolio.

 

Che avventura affascinante questa caccia al tesoro che nella natura, nelle culture, nelle religioni, nei cuori degli uomini e delle donne va alla ricerca della presenza della Parola! Allora non esistono “altri”, quando ci accomuna l’unica Parola. È la piccola semente del Regno che cresce in albero dai grandi rami (cf. Mc 4, 32).

 

E la Parola è per l’uomo, dentro e fuori dello spazio sacro. Ma soprattutto fuori. Perché è quel Gesù che frequentava, sì, il tempio e la sinagoga, ma soprattutto le strade polverose, il pozzo, le spiagge, le montagne, i campi, le case. Con un linguaggio di rara intensità il Messaggio al Popolo di Dio ha affermato: “La Parola di Dio personificata esce dalla sua casa, il tempio, e si avvia lungo le strade del mondo per incontrare il grande pellegrinaggio che i popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità, della giustizia e della pace. C’è, infatti, anche nella moderna città secolarizzata, nelle sue piazze e nelle sue vie – ove sembrano dominare incredulità e indifferenza, ove il male sembra prevalere sul bene, creando l’impressione della vittoria di Babilonia su Gerusalemme – un anelito nascosto, una speranza germinale, un fremito d’attesa. Come si legge nel libro del profeta Amos, ‘ecco verranno giorni in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore’(8, 11). A questa fame vuole rispondere la missione evangelizzatrice della Chiesa” (10).

 

Carne di Dio

 

Molte le voci risuonate nella sala del Sinodo sull’umanità della Parola, non tanto nel senso (importantissimo!) che è anche parola dell’uomo, ma nel senso che tocca l’uomo in tutte le sue dimensioni personali e sociali.

 

La Parola non è prima di tutto una dottrina né un’esortazione diretta solo allo spirito, ma è la carne di Dio che sente compassione, che ascolta il grido della sofferenza, si ribella all’ingiustizia, predilige i poveri, tuona contro i potenti, i ricchi, i superbi, si incanta davanti all’amore di due giovani.

 

Clericalizzarla, come si è fatto e si continua ancora, significa ridurla a qualcosa del passato che non interessa l’uomo d’oggi e non interesserà quello del futuro. O a un testo che ha giustificato le conquiste coloniali dei re “cattolici”, espropriando dei loro diritti più elementari persone e popoli innocenti. Le “religioni del libro” si sono combattute giustificandosi con i loro libri!

 

Come può la Parola separare quando è comunicazione (in funzione di un incontro) di un Dio che ama l’uomo, ogni uomo, soprattutto quando è povero, debole, solo, peccatore? Un Dio che ha un progetto che non esclude nessuno, ma vuole abbracciare tutti, passando attraverso la giustizia, la solidarietà, la verità, l’amore, per arrivare alla fraternità, alla pace, all’unità.

 

Una visione così si è dispiegata durante la celebrazione dei Vespri nella Cappella Sistina nella voce profetica del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, che ha prospettato “un altro modo di vivere”, invitando tutti, come conseguenza, a “una metanoia radicale – una conversione degli atteggiamenti, delle abitudini e delle pratiche – del modo in cui abbiamo usato male o abbiamo abusato della Parola di Dio, dei doni di Dio e del creato di Dio”.

 

Personalmente da un ortodosso, la cui teologia viene presentata prevalentemente come proiettata nel regno celeste, sinceramente non mi aspettavo uno sguardo così attento sulla realtà umana, incentrata sul “sacramento del nostro prossimo” e sulla “vocazione e l’obbligo di condividere”.

 

Che ha trovato piena consonanza nel commento di Benedetto XVI: “Abbiamo visto che andare al cuore della Sacra Scrittura, incontrare realmente la Parola nelle parole, penetrare nella Parola di Dio apre anche gli occhi per il nostro mondo, per la realtà di oggi”.

 

Un’ultima impressione. L’universalità delle presenze al Sinodo, di tutti i continenti, di varie Chiese (12) e del rabbino capo di Haifa, Shear Yashyv Cohen, ha dato la possibilità di vedere come la Parola parla ed è capita in tutte le lingue, culture e tradizioni spirituali.

 

E mi sono ricordato una frase di Chiara Lubich: “Il Vangelo porta la vita più affascinante, accende la luce nel mondo, dà sapore alla nostra esistenza, ha in sé il principio della risoluzione di tutti i problemi”.

 

 

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