Ulisse e la sua Algeria

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Algeri, 13 settembre 2003. Cristiani e musulmani si riuniscono per commemorare la figura di Ulisse Caglioni, focolarino,morto in Italia il primo settembre di quell’anno. L’incontro si sarebbe ripetuto anche a Tlemcen e il 4 ottobre a Orano, alla fine del Ramadan. Una piccola delegazione algerina partecipa al suo funerale in Italia, a Castelgandolfo. Sidi Ahmed Benchouk, musulmano, già prefetto nella regione di Tlemcen, nell’est algerino, si rivolge a lui come in un colloquio personale: Eri un esempio magnifico di coerenza tra ciò che si dice, ciò che si fa e ciò che si è. Sei venuto verso di noi sciogliendo un mare di ghiaccio e distruggendo i muri che ci separavano per costruire un ponte indistruttibile. È partito per il cielo colui che ci ha amato tutti senza eccezioni, grandi e piccoli. Da lui abbiamo imparato ad ascoltare, senza pregiudizi, senza giudizio alcuno, gli facevano eco altri. Firmandosi: I tuoi fratelli e le tue sorelle in Dio, hanno scritto una lunga lettera-testimonianza, di cui riportiamo alcuni stralci: Ha sempre testimoniato la sua fede. È stato per noi il modello del credente. L’unità che costruiva andava al di là delle differenze, al punto che molti dicevano: Ulisse, ecco il vero musulmano. Non certo perché non conoscesse la sua religione e la sua vocazione, ma perché era un uomo di Dio. Sentiamo di aver perso uno di famiglia, un uomo che fa parte di noi stessi. Nel deserto fiorisce la fraternità Ma chi era quest’uomo, alla cui scomparsa, in Algeria, fedeli delle due religioni avevano sentito il bisogno di ritrovarsi insieme? Un fatto era certo: senza l’aiuto di quel bergamasco di poche parole e di molti fatti, forse loro non si sarebbero mai conosciuti, né incontrati. Né avrebbero potuto godere del bene prezioso di un’amicizia forte e sincera, intessuta di aiuto e sostegno reciproci. Nei tempi bui della guerra civile avrebbero attinto forza e coraggio per resistere e rimanere in patria, nonostante tutto. Di fronte all’immagine a senso unico di un Islam chiuso e impenetrabile, e di una minoranza cristiana in posizione di difesa, è proprio dall’Algeria, Paese islamico, che giunge dunque la testimonianza di un dialogo spirituale profondo tra appartenenti alle due religioni. La casa editrice Città Nuova ha appena dato alle stampe un libro che ha, appunto, come titolo: Nel deserto fiorisce la fraternità. E come sottotitolo: Ulisse Caglioni tra i musulmani. Narra una vicenda di fraternità fiorita nel deserto più arido e sassoso che si possa immaginare: quello dei cuori raggelati dall’odio. Ad attestare quanto sia calzante il titolo scelto, sarà l’autrice, Matilde Cocchiaro, a condurci per mano alla scoperta di una pagina, piccolagrande pagina inedita della storia di questo martoriato Paese. Casa della pace Una storia che ha inizio esattamente quarant’anni fa, nel 1966. Il 14 ottobre di quell’anno tre focolarini – Salvatore, Pierre ed Ulisse – arrivano a Tlemcen, una città all’ovest dell’Algeria, ai confini col Marocco e lambita dal deserto. Il movimento ha ricevuto in dono una piccola abbazia benedettina ormai in disuso e Ulisse, giovane operaio di 23 anni, sembra la persona adatta per portare avanti i lavori di ristrutturazione. Inizia così la storia della prima comunità del Movimento dei Focolari in un Paese musulmano. L’anno seguente, si sarebbe stabilita ad Algeri anche una comunità femminile. Una sola passione li animava: vivere l’amore evangelico verso ogni prossimo che sarà dato loro di incontrare, per contribuire a edificare tra tutti rapporti più fraterni. È quindi con questi contatti che, a loro volta, vanno scoprendo la loro cultura, le loro usanze, la loro religione. A Ulisse le occasioni non mancano: deve continuamente frequentare i mercati per l’approvvigionamento del materiale necessario alle costruzioni. Col trascorrere degli anni, quell’ex monastero di Tlemcen sarebbe diventato un luogo di incontro, di dialogo spirituale, conosciuto in tutto il Paese e anche oltre. Posso testimoniarlo – scrive l’arcivescovo di Algeri Henry Teissier -, perché ho avuto la gioia di andarlo a trovare più volte l’anno durante tutto il mio lungo episcopato a Orano. Il focolare era infatti un punto centrale per tutto l’Ovest della diocesi. Tutti apprezzavano la sua fede e il suo amore profondo per la Chiesa, la sua discrezione, il suo rispetto per l’Algeria e gli algerini, il suo essere vicino con semplicità a ciascuno. Il libro racconta come la vita e la testimonianza di Ulisse abbiano trasformato l’ex monastero benedettino in una casa per accogliere quanti man mano si sentivano attratti dallo spirito dell’unità. Il libro fa soprattutto scoprire la sua grande disponibilità messa al servizio di questa accoglienza, innestata sulla proverbiale abilità di Ulisse, capace di risolvere qualsiasi problema tecnico o meccanico, elettrico, di falegnameria, senza tuttavia allontanarsi dallo scopo spirituale dell’incontro. Se il centro del movimento di Tlemcen era una casa della pace (Dar Es Salam) lo si deve alla disponibilità di Ulisse. La vecchia Mercedes Tornitore di professione, Ulisse ha cominciato a lavorare dall’età di 13 anni, continuando tuttavia a studiare di sera per altri cinque anni. Ha le mani d’oro: s’improvvisa fabbro per fare delle belle inferriate alle finestre di Tlemcen, e quando verrà regalata al focolare una vecchia Mercedes, con centi- naia di chilometri sul groppone, lui smonterà e ricomporrà più volte il motore. Sarà con quel mezzo di trasporto che Ulisse e i suoi amici si lasceranno tentare dall’avventura del deserto. Originario di una famiglia di dieci figli di Pedrengo, un piccolo paese alle porte di Bergamo, non perde mai l’occasione di invitare in Algeria i suoi concittadini e parenti, che così possono ammirare le bellezze di un paesaggio così insolito per loro. Dando però la possibilità di condividere in qualche modo quanto si andava costruendo in Algeria, non solo in senso materiale. Non ha timore di perdere tempo con la gente: è lì per loro. È tempo guadagnato a fermarsi, non solo ad ascoltare, ma soprattutto a rendersi utile nelle mille piccole faccende di cui è intessuta la vita quotidiana. Gesti piccoli, che vanno dal rubinetto che perde al motore che non gira. Li ripeterà per tutta la vita. All’inizio con l’entusiasmo degli anni giovani, e poi con la costanza e la pazienza di chi per esperienza ha compreso che quello è il mezzo che la provvidenza gli offre per testimoniare l’amore di Dio verso ogni uomo. E poco importa che non sia del suo Paese, della sua cultura, della sua religione. Diventa così uno di loro. Tutti lo conoscono e lo salutano. Può comunicare così a quanti incontra la pace e l’amore che l’animano. Ulisse sa mettersi anche al servizio dei cristiani che frequentano il paese come cooperatori e delle comunità religiose presenti. Ed è con grande gioia di tutti allorché l’allora vescovo di Orano mons. Teissier gli chiede di diventare sacerdote. Tutto ciò si realizzerà solo col suo successore nella seconda città algerina, mons. Pierre Claverie, poi trucidato dai terroristi, nel 1985. La prova Con gli anni Novanta, l’Algeria viene travolta da un’ondata di violenza inaudita. Più di centomila le perdite umane. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto europee, lasciano il Paese. Ulisse con il suo focolare sceglie di rimanere. Forte è lo shock quando il vescovo che l’aveva ordinato sacerdote perde la vita in un agguato, e quando viene a sapere del feroce assassinio dei sette monaci trappisti, che Ulisse conosce molto bene. Non dice nulla, ma il dolore lo segna profondamente. Non può muoversi liberamente come prima, e deve farlo con molta prudenza. Ma non se la sente di lasciare i suoi amici. Un’altra prova arriva quando gli viene diagnosticata una grave forma tumorale. Anche in questo caso, come è sua consuetudine, affronta con impegno la nuova situazione. Ma per sdrammatizzare, continua a mettersi al servizio degli altri, preparando il pranzo, riparando la casa dove si trova ad abitare. Chiara Lubich, informata, lo chiama al telefono. Anche se abituata a situazioni dolorose, rimane toccata dalla sua serenità, anzi dalla gioia, Dirà più tardi che l’intera vita di Ulisse rivela l’aspetto più necessario della vita di un focolarino: l’amore al fratello, aggiungendo che egli era arrivato a una tale maturità spirituale perché aveva messo alla base della sua vita l’amore al prossimo. Ma l’aspetto di Ulisse che colpisce di più va ben oltre le sue peculiari capacità umane e spirituali, pur così importanti: Le pagine del libro – dice ancora l’arcivescovo Teissier – ci fanno entrare nella vocazione della nostra Chiesa in Algeria, che è anche, e allo stesso tempo, quella del focolare. Tutte le nostre comunità cristiane in Algeria sono infatti invitate a situare la loro vocazione in un incontro islamo- cristiano che superi le diffidenze del presente, i pregiudizi del passato e le posizioni dogmatiche, per fondare una comunione vera e quotidiana tra le persone. Il seme gettato da Ulisse è caduto in terreno buono. È stata aperta una strada, i cui tempi di maturazione sono forse lunghi. Ma Ulisse ha generato una corrente di amore che prima o poi porterà effetti benefici.

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