Trieste e la nuova via della seta

Con il 90% di merci che si muovono via mare, il porto italiano si colloca in una posizione strategica centrale. La proposta cinese e gli interessi geopolitici statunitensi
AP Photo/Andy Wong

La Nuova via della Seta passerà da Trieste? Difficile dirlo in questo momento. Ma il progetto, economico e geopolitico, della Cina non può non fare gola anche allo scalo giuliano, sempre alla ricerca di una valorizzazione delle proprie potenzialità, per lunghi anni inespresse, che potrebbero portarlo ad un futuro di sviluppo finalmente degno del suo glorioso passato.

L’iniziativa strategica – che mira a collegare vie terrestri e marittime tra Cina e i Paesi dell’Eurasia, annunciata ufficialmente nel 2013 come “One Belt, One Road – OBOR” e che vede coinvolti circa 65 Paesi – ha come obiettivo non solo lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica, ma anche la promozione della Cina come interlocutore di spicco nelle relazioni globali.

Ciò significa, appunto, che trattasi di operazione non solo economica, ma anche geopolitica. E questo, se da un lato fa venire l’acquolina in bocca ai porti (basti ricordare che il 90% del commercio mondiale si svolge via mare) e agli snodi logistici dell’Europa di Centro (si parla di volumi enormi in movimentazione, quindi, di eccezionali investimenti), dall’altro insinua timori su una possibile destabilizzazione politica dell’Unione Europea.

Questo progetto cinese, però, deve fare i conti con un insieme di progetti strategici e geoeconomici che mirano ad interconnettere i paesi dei tre mari (il Trimarium, appunto), Baltico, Nero e Mediterraneo: movimento in atto in un territorio che, storicamente, è stato il teatro delle guerre mondiali e che, tutt’ora, si presenta come laboratorio internazionale per tenere lontani possibili accordi tra Germania e Russia.

Risultato? L’America appoggia il Trimarium perché ha interessi comuni anti-russi con i Paesi del Baltico e la Polonia, mentre Italia, Turchia e Germania rimangono escluse. In tutto questo groviglio, si innesta quella che sembra una boutade (ma sempre ben studiata) cinese: la possibilità di “sfruttare” il surriscaldamento globale per utilizzare le rotte artiche come via commerciale. È del 26 gennaio, infatti, la notizia della pubblicazione da parte del governo cinese del primo libro bianco sull’Artico, nel quale viene introdotto il concetto di “via della seta polare”, confermando il suo interesse, anche in termini di investimenti, su questa parte del pianeta.

Sebbene in questo periodo si parli molto di OBOR e si organizzino molti convegni e conferenze sul tema, l’Italia, politicamente parlando, non ha ancora preso posizione. E questo silenzio potrebbe costarle molto caro: il rischio è quello di rimanere tagliati fuori da investimenti con conseguenti mancate ricadute sul fronte occupazionale e commerciale. La domanda è: l’Italia se lo può davvero permettere? 

L’obiettivo strategico della Cina passa anche attraverso il collegamento nord-sud dal porto del Pireo: punto chiave del progetto, greco per collocazione geografica, ma cinese per proprietà (scelto come Hub mediterraneo), esso potrebbe essere collegato al centro Europa attraverso la costruzione della China-Europe Land-Sea Express Line attraverso Macedonia, Serbia ed Ungheria. All’interno di questo scenario, i porti italiani hanno le carte in regola per giocarsi un ruolo importante in questo grande progetto?

La risposta è sì. Trieste, ad esempio, grazie alla sua posizione geografica naturalmente affacciata sull’Europa centrale, i fondali adatti a navi con pescaggio fino a 18 metri, i collegamenti ferroviari già in banchina (si parla di circa 170 treni che ogni settimana partono per i paesi europei ex-asburgici) e la qualifica di Porto Franco Internazionale, stabilita per decreto nel giugno 2017 (che implica tutta una serie di vantaggi trai quali quello fiscale determinato dalla completa extraterritorialità doganale) ha davvero un’ottima capacità attrattiva.

I 140 miliardi di dollari di investimenti in palio potrebbero incoraggiare anche la nostra politica locale e nazionale in vista di prospettive per la nostra economia, che, nonostante le statistiche, fa ancora fatica a decollare. Non possiamo dimenticare, però, che capitali di questa entità potrebbero fare gola alla criminalità organizzata, che è molto abile a sentire il profumo del denaro e ad infiltrarsi. Perciò, sarà necessario vigilare attentamente sulle modalità di investimento e sui meccanismi che regolano gli appalti.

La sfida, dunque, è aperta, ma, senza un serio e rapido piano strategico, c’è il rischio di perdere, letteralmente, il treno.

(La questione della Nuova via della Seta è stata oggett di approfondimento del centro culturale Veritas di Trieste)

 

 

 

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