I tre usi del compasso

È il titolo del cortometraggio realizzato dagli studenti del Liceo “Buonarroti” di Monfalcone. Narra la storia di un’adolescente, Lucia, che vive il lutto per la morte del fratello, con tutto ciò che comporta

Un «piccolo miracolo». È Ivan Gergolet – regista monfalconese laureato al Dams di Bologna già candidato a gli European Film Award con il docufilm “Dancing with Maria” – a definire così il cortometraggio, “I tre usi del compasso”, realizzato con gli studenti del Liceo “Buonarroti” di Monfalcone. Il corto l’ultimo frutto di un progetto di cinema, nato nel 2001, divenuto negli anni parte integrante dell’offerta formativa della scuola, fino ad assumere, in alcune classi, valore di materia curricolare. «Nell’ultimo triennio sono stati coinvolti circa quaranta studenti, comparse comprese» ci spiega la professoressa Grazia Giovannardi, responsabile del progetto «i ragazzi lo hanno portato avanti in orario extracurricolare garantendo una continuità possibile, perché tutti hanno fatto il percorso fino alla fine». «È dal 2006 che collaboro con il liceo per questo progetto di cinema» racconta Gergolet «e in questo triennio ho avuto l’opportunità da una parte per far vivere un’esperienza artistica e professionale per gli allievi, dall’altra di produrre un film vero e proprio che, nel panorama nazionale, non sfigura affatto. Anzi, esperienze così ambiziose credo siano davvero rare. E il fatto che nascano all’interno della scuola pubblica, secondo me, ha un valore ancora più grande. In un lavoro di questo tipo conta molto l’autodisciplina e il lavoro di gruppo: ogni ruolo è fondamentale e ciascuno può mettere in campo il proprio meglio».

“I tre usi del compasso”, sceneggiatura interamente scritta dagli studenti, il “Buonarroti Film Lab”, narra la storia di un’adolescente, Lucia, che vive il lutto per la morte del fratello, con tutto ciò che comporta: chiusura, dolore, difficoltà a comunicare… Parallelamente, ecco Andrea, suo compagno di classe non vedente. Lucia non parla, Andrea non vede. Eppure, piano piano, si crea un’empatia che permette loro di comunicare e di aprirsi per scoprire un tesoro, come l’amicizia, che ha bisogno di un codice di comunicazione: Lucia lo scopre grazie ad un messaggio di Andrea, scritto in Braille, che lei riesce a decifrare: «Nessuno muore negli occhi del silenzio». Il cortometraggio è stato recentemente proiettato a Trieste nell’ambito del “19° ShorTS International Film Festival” e a Gorizia, nell’ambito del “37° Premio Sergio Amidei – premio internazionale per la migliore sceneggiatura”.

Ma perché un compasso? «All’inizio avevamo pensato ad un oggetto qualsiasi» ci spiega Erica Zamparo, attrice protagonista nei panni di Lucia, che vuole continuare nel cinema «poi abbiamo pensato al compasso, perché con questo strumento possiamo disegnare dei cerchi, la punta del suo ago può anche ferire, ma ancora la sua punta può tracciare l’alfabeto Braille, che serve alle persone non vedenti per comunicare. In questi anni di lavoro abbiamo incontrato anche dei nostri coetanei con disabilità visiva: abbiamo imparato a dare più importanza alle cose che per noi sono scontate e ad avere maggiore comprensione verso chi è più in difficoltà».

Un percorso di alto livello professionale, come riconosciuto dal regista Gergolet e dalla montatrice Natalie Cristiani – «Per me è stata subito chiara la solidità del lavoro fatto dai ragazzi che hanno dimostrato una rapidità analitica molto forte, un’ottima concentrazione ed uno sguardo preciso. Hanno, inoltre, colto il punto di contatto tra “non comunicazione” e “comunicazione”, importantissimo in questo momento storico. La bellezza di questo cortometraggio sta nel fatto che la cecità del ragazzo non si nota» – ma anche un’esperienza umana molto forte per tutti. «Umanamente ed artisticamente mi sono sentito molto arricchito, soprattutto nella fase di scrittura» confida ancora Gergolet «ognuno ha messo emozioni forti che sono state un grande nutrimento per tutti ed hanno permesso la creazione di immagini belle ed importanti». «Di solito il percorso scolastico può essere un po’ piatto» incalza Pietro Calligaris, uno dei ragazzi partecipanti al progetto, orientato alla filosofia e al cinema «invece in una settimana di riprese ho imparato molto più del solito. Ne è valsa veramente la pena». «Un’esperienza ancora diversa per noi insegnanti» conclude Giovannardi «le disabilità per noi sono presenti e riconosciute, ma è stato interessante vedere i ragazzi calarsi nel ruolo e acquisire consapevolezza, maturazione ed interiorizzazione. Filo conduttore dei laboratori sono sempre tematiche forti e i laboratori a scuola, vale la pena sottolinearlo, sono occasioni di integrazione. Qui si impara a stare insieme».

 

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