The Wall

Il muro del Brennero, quello tra Stati Uniti e Messico, quello israeliano. Mille modi di battezzare la separazione e l’esclusione con termini edulcorati, eufemistici. Ma la realtà è la realtà
Betlemme © Michele Zanzucchi 2007

Ora ci si mette anche l’Austria ad erigere un muro al Brennero. A rischio non solo Schengen, peraltro quasi defunto da tempo ormai, ma la stessa economia europea che se vedesse ripristinate le frontiere e i controlli sulle merci oltre che sulle persone rischierebbe un crollo di alcuni punti del Pil dei diversi Paesi, facendo ripiombare il continente in una crisi peggiore di quella dei subprime e della Lehman Brothers nel 2007-2009.

 

Curioso è il fatto che questi muri vengano chiamati da chi li erige sempre in modo diverso da quello che sono: barriere difensive, velo di frapposizione, tracciato di sicurezza, cortina protettiva, salvapaese, regolatore di flussi, strumento di difesa dell’identità, alzata preventiva, aiuto alla chiarezza nazionale, parete buffer, confine di Stato rialzato, difesa antislamica, barricata preventiva… Ognuno di noi, facendo un giro sui siti israeliani, austriaci, danesi, ungheresi, sloveni, macedoni, statunitensi, venezuelani, coreani e altri ancora potrà allungare questa lista stucchevole di termini edulcorati, di eufemismi. I muri hanno mille sinonimi, da sempre. Sono frutto della paura, comprensibile paura; portano un momentaneo arresto dei flussi e trasmettono un senso di sicurezza, come diceva Artemidoro: «Le cose solide e compatte come i muri (…) sono buon segno per chi ha dei timori». Ma alla lunga i muri, anche i più alti, finiscono col crollare, talvolta trascinandoci nella loro distruzione. Diceva Montanelli: «Col muro si comincia ma al muro si finisce».

 

Stamani rileggevo l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI, la madre del pensiero sociale moderno della Chiesa cattolica. Un capolavoro di un’attualità straordinaria, scritto particolarmente caro anche a papa Bergoglio. Un passaggio mi ha colpito particolarmente, ed è rivolto a noi giornalisti: «Pubblicisti, vostro è il compito di mettere sotto i nostri occhi gli sforzi compiuti per promuovere il reciproco aiuto tra i popoli, così come lo spettacolo delle miserie che gli uomini hanno tendenza a dimenticare per tranquillizzare la loro coscienza: che i ricchi sappiano almeno che i poveri sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini».

 

In queste parole mi riconosco al 100 per cento come giornalista e mi sembra di trovare un senso al mio lavoro. Raccontando il «reciproco aiuto tra i popoli», sempre e soprattutto, ma talvolta anche denunciando «lo spettacolo delle miserie» e la costruzione di ogni nuovo muro. Per non essere, come denunciavano i Pink Floyd, «solo un altro mattone nel muro».

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