Abusi sessuali, il papa chiede perdono

Francesco ha riconosciuto di aver commesso gravi errori nel considerare i casi di abusi sessuali commessi in Cile. È mancata una «informazione verace ed equilibrata». Le indagini hanno permesso di gettare nuova luce sui fatti
Papa Francesco

Il sospetto che le informazioni in mano a papa Francesco fossero parziali e incomplete venne confermato dalle spiegazioni alla stampa offerte, a gennaio, dallo stesso pontefice nel viaggio di ritorno dal Cile. Papa Bergoglio prima corresse alcune sue affermazioni sul fatto che le accuse contro il vescovo di Osorno Juan Barros fossero solo «calunnie». Un gesto necessario per evitare che il principio di presunzione di innocenza di Barro, si trasformasse in una sorta di presunzione di calunnia nei confronti dei suoi accusatori. Poi aggiunse che non erano state presentate testimonianze né documenti per dare fondamento alle accuse.

Le vittime degli abusi commessi dal sacerdote Fernando Karadima nei confronti di vari giovani, accusano Barros di essere stato a conoscenza dei fatti – essendo stato al suo fianco durante venti anni – e anche di aver partecipato ad alcuni episodi. Chi conosce questo triste e doloroso capitolo della chiesa cilena, sa che in realtà le vittime hanno cercato in tutti i modi possibili di offrire la loro testimonianza, denunciando l’ostracismo delle autorità ecclesiastiche locali. Dunque, qualcosa non quadrava.

Poche settimane dopo, l’incarico conferito a monsignor Charles Scicluna, della Congregazione per la dottrina della fede, di aprire nuove indagini su quegli episodi confermò che le segnalate incongruenze erano state colte anche in Vaticano. Il lavoro di Scicluna, in Cile e a New York, fu meticoloso e si svolse in un clima di ascolto, fiducia e carità fraterna, come ebbero a sottolineare unanimemente le varie decine di persone, testimoni e vittime degli abusi, che si sentirono ascoltate. Una delle vittime ci tenne a sottolineare: «Per la prima volta».

Il quadro che emerge dai risultati dell’indagine è notevolmente differente dalla versione offerta a suo tempo dal papa, al punto da ammettere di essere incorso in gravi errori nel prendere in considerazione il caso. Con un gesto più unico che raro, il papa ha inviato una sua lettera alla conferenza episcopale cilena, riunita in assemblea plenaria, nella quale manifesta dolore e vergogna per i fatti emersi dal dossier consegnato da Scicluna (più di 2 mila pagine), parla di «vite crocifisse» e segnala che bisognerà prendere le misure del caso.

A tale scopo, il papa ha invitato i vescovi cileni a Roma per decidere collegialmente come ricostruire la fiducia e soprattutto la «comunione ecclesiale in Cile, riparare lo scandalo nei limiti del possibile e ristabilire la giustizia». Bergoglio annuncia di aver invitato presso la Santa Sede anche le vittime ed i testimoni contattati, ai quali chiederà personalmente perdono. «Riconosco, e chiedo che sia trasmesso fedelmente, che sono incorso in gravi errori di giudizio e di percezione della situazione, specialmente per mancanza informazione verace ed equilibrata. Chiedo fin d’ora perdono a tutti coloro che ho offeso e spero poterlo fare personalmente nelle prossime settimane, nelle riunioni che manterrò con i rappresentanti delle persone contattate [da Scicluna, NdR]».

Il presidente della conferenza episcopale, Santiago Silva, non esclude che potranno essere rimossi alcuni vescovi dal loro incarico pastorale nel corso della riunione col Papa. Pesa gravemente nelle parole della lettera sia la constatazione dolorosa di «vite crocifisse» alle quali non si è potuto dare giustizia e sollievo proprio per quella «mancanza di informazione verace ed equilibrata». È emblematico che la trasmissione della lettera all’episcopato non abbia usato il canale della Nunziatura apostolica. La lettera del Papa ha suscitato sollievo e rafforzato la speranza di un rinnovamento che molti in Cile avvertono come necessario, proprio alla luce di questi fatti.

Come ho segnalato a suo tempo, la questione sorta attorno alla figura di Karadima, formatore di vari sacerdoti alcuni dei quali divenuti vescovi, come il menzionato Barros, va al di là dei gravissimi abusi commessi nei confronti di minorenni, tra l’altro in situazione di estrema vulnerabilità, e di un modo di esercitare il sacerdozio al di fuori di principi etici elementari. Essa riguarda anche una concezione ecclesiale lontana dallo spirito del Vaticano II. Il che potrebbe spiegare perché Bergoglio parli di «ristabilire la comunione ecclesiale».

È probabile che non mancheranno le critiche nei confronti del papa, che non ha pudore di ammettere di essersi sbagliato. Ma Bergoglio sa che quello di Pietro è un primato prima di tutto di amore. La ieratica immutabilità con la quale si pretende di proteggere l’onore della Chiesa è contraria all’amore per la verità, che invece deve animare fedeli e pastori.

Paolo – che ebbe il coraggio di rimproverare Pietro e questi seppe riconoscere le sue ragioni –, ci ricorda che siamo tesori in vasi di creta. Commettere errori mostra la povertà del materiale umano col quale siamo fatti. L’amore umile dimostra che siamo tesori.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons