Tacere sì, ma per raccontare meglio

Il silenzio è utile, perché senza di esso la parola non avrebbe modo di esprimersi. A modo nostro aderiamo alla giornata di sciopero contro la legge sulle intercettazioni.
Manifestazione libertà stampa (foto wildgretapolitics)

L’adesione allo sciopero dell’informazione (8-9 luglio) contro il provvedimento sulle intercettazioni in esame al Parlamento è stata quasi unanime. Ma il consenso inevitabile si tinge di tanti stimolanti distinguo. Perché, se si conviene sulla necessaria modifica di un provvedimento che, pur cercando di tutelare la privacy dei cittadini, troncherebbe nei fatti troppe inchieste giudiziarie, non tutti sono d’accordo sul metodo adottato, cioè lo sciopero, il silenzio stampa.

 

Anche Città Nuova on line aderisce allo sciopero, quindi, ma condividendo nel contempo gran parte delle perplessità espresse da alcuni fra i maggiori quotidiani d’Italia: la forma non sarebbe la più adatta per far presenti all’opinione pubblica i dubbi sulla legge e il muro contro muro sarebbe un metodo desueto di gestire il contenzioso pubblico.

 

Abbiamo qualcosa di più da dire, anche noi di Città Nuova, se ci è permesso. Riteniamo infatti che il silenzio sia un valore insostituibile per chiunque voglia fare un giornalismo serio, al servizio della verità e con metodi rispettosi. Le nuove tecnologie hanno riversato sui nostri terminali una valanga di notizie – troppo spesso presunte notizie o notizie riciclate acriticamente –, quella che gli studiosi anglosassoni chiamano news flood, l’inondazione di notizie Nel contempo lo stile dei media tradizionali si è non poco imbarbarito, privilegiando lo scandalo e lo strillo alla riflessione e alla moderazione dei toni.

 

Si è così dimenticato troppo spesso, presi nei ritmi vertiginosi della nostra professione, che ogni comunicazione, e quindi anche quella massmediatica, vive sul binomio silenzio-parola. Se manca il primo, s’apre la via a Babele, allo smarrimento della cacofonia; mentre se manca la seconda è la libertà a venir danneggiata, e ci si ritrova prima o poi a dover contabilizzare piccoli o grandi lager o gulag. Ogni informazione comunicata vive del silenzio su altre mille notizie, vive del silenzio su quello che non è provato, vive sul rispetto dell’altro e della parola dell’altro.

 

Cosa auspichiamo che emerga, allora, da questa giornata di silenzio stampa? Che chi deve legiferare rifletta sulla gravità della parola ingabbiata, vilipesa, tagliata, censurata (anche imponendo l’improvvisa cessazione delle tariffe agevolate per la stampa, che sta mettendo in ginocchio tante testate espressione della società civile!). E che noi giornalisti si rifletta ponderatamente, acutamente e senza sconti sull’uso che facciamo (e soprattutto non facciamo) del silenzio.

 

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