Sully e il fattore umano

Un altro capolavoro di Clint Eastwood, la storia vera del pilota Chesley Sullenberger che salvò 155 persone con un ammaraggio nel fiume Hudson che bagna New York. Un salvataggio reso possibile da un eroismo collettivo
Film Sully

L’importanza dell’essere umano. La sua insostituibilità. Il suo essere cuore pulsante di una società. Ecco cosa ci racconta Clint Eastwood col suo ultimo stupendo film, tratto dalla vicenda reale del pilota di aerei Chesley Sullenberger. In un’epoca in cui ci affidiamo sempre di più alla tecnologia ‒ nello sport, nella giustizia, nel lavoro, nel tempo libero, nei sentimenti – il vecchio Clint rende omaggio a un uomo che copre i vuoti lasciati dagli strumenti computerizzati e sfrutta al massimo quel cocktail di pancia e di testa che chiamiamo intuito e sensibilità.E lo fa nei 208 secondi più delicati della sua vita, quando l’aereo che sta conducendo a destinazione colpisce uno stormo di uccelli ed entrambi i motori vanno in avaria.

 

 

Non è l’avventura di un eroe per caso, ma la storia di un uomo giusto e capace che vive il suo lavoro con passione e senso etico, che mette le sue competenze e la sua lunga esperienza al servizio degli altri. È un pilota di linea con un passato nell’esercito, è uno che ha portato in aria un milione di persone. Non un ragazzino, ma un marito, un padre e un cittadino americano. È vicino alla pensione e in pochi istanti deve decidere come portare in salvo i 155 tra passeggeri ed equipaggio.

 

 

Sully, questo il suo nome abbreviato, sceglie l’unica strada, secondo lui, possibile: l’ammaraggio nel fiume Hudson che bagna New York, anche se dalla torre di controllo gli consigliano un paio di piste nei dintorni. Lui non crede di avere tempo a sufficienza per raggiungerle, e la scelta si rivelerà azzeccata: chiunque fosse a bordo porta a casa la pelle, senza un graffio o quasi.In un tempo di medici assassini e di capitani per niente coraggiosi, soprattutto in un tempo in cui l’egoismo, la superficialità e la pigrizia nel servire l’altro non vengono minimamente combattute, l’esempio di Sully diventa preziosissimo. Quando l’acqua del fiume sta per riempire totalmente l’interno del velivolo, lui continua a camminare fino a percorrere l’intero spazio, e quando ormai è al sicuro, prima chiama rapidamente sua moglie: «Sto bene», e poi chiede con forza il numero di viaggiatori salvi. Solo all’ascolto di quel benedetto 155, il suo viso si distende. Tutto ciò che verrà dopo ha un peso, grande, sì, ma non enorme quanto la vita delle persone sulla coscienza.

 

C’è una società, là fuori, basata sui soldi e sulla comunicazione, che prontissima si tuffa dentro la notizia, la cavalca in tutte le sue forme: l’intervista classica, i telegiornali e poi il passaggio “obbligato” per il “Letterman Show”. In più c’è da capire se veramente Sully abbia fatto la cosa giusta, se realmente abbia salvato un sacco di persone, o se, al contrario, abbia inutilmente messo a rischio, scegliendo il fiume, la vita di tanti individui. L’uomo è solo mentre il suo viso rimbalza sui televisori di tutta l’America, è solo alla vigilia di un confronto con esperti pronti a giudicarlo; è solo quando nella testa sconvolta dal trauma continuano ad affacciarsi scene di aerei che si schiantano sui grattacieli di New York. È solo ed è umanissimo, quando inizia a pensare che davvero potrebbe aver sbagliato, e che i sacrifici di una vita, l’aver agito sempre per il bene, l’aver messo il valore della responsabilità al cuore della sua esistenza, può non essere servito a nulla. È solo nel rapporto tra se stesso e la grande prova a cui ha dovuto fare fronte. È solo e vacilla. Rischia di perdere la pensione e che il suo sito per la sicurezza in volo vada in rovina. Gli viene comunicato che i simulatori, i calcoli scientifici, gli algoritmi dicono che ce l’avrebbe fatta ad atterrare su un’altra pista. Nella notte prima dell’incontro con la commissione d’inchiesta, Sully gira per New York e capisce che nei calcoli dei computer non è stato inserito il fattore umano, ovvero quel tempo necessario perché un uomo possa, dopo la paura e la momentanea destabilizzazione, ritrovare la lucidità necessaria per agire.

 

 

La commissione quantifica in 35 secondi questo tempo, ed ogni calcolo, a quel punto, dimostra che l’aereo non ce l’avrebbe mai fatta ad atterrare altrove. Ecco che il fattore umano, allora, fino a quel momento ritenuto un limite, diventa l’elemento che fa la differenza, lo strumento insostituibile e benedetto. Sully, di fronte alla sua grande rivincita, commenta dicendo che il fattore umano non è soltanto lui, ma tutti quelli che hanno dato il massimo e dimostrato i suoi stessi valori: hostess, copilota, poliziotti, chi guidava il traghetto, gli elicotteristi, i passeggeri stessi. Una società coesa, in sostanza, solidale, silenziosa, che ha messo da parte la vanità e il denaro ed ha seguito d’istinto la giusta direzione. Un eroismo sostenibile e collettivo, una società di tanti Sully, vera grande speranza per il futuro.

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