Strappo tra Calenda e Renzi, esito prevedibile

I due esponenti politici si sono rivelati incompatibili nel condividere un progetto riformista che pure interessa una fascia di elettorato spinto verso l’astensionismo
Calenda

Va in scena la cronaca annunciata del litigio tra Calenda e Renzi, che segna il naufragio del progetto di partito unico dei liberal-democratici. “Divorzio senza matrimonio” è stato il fulminante ritratto della situazione. Nel pomeriggio di mercoledì 12 aprile, era fissata la riunione del comitato politico del Terzo polo, l’organismo di coordinamento composto da figure di spicco dei due partiti, ma nelle ore precedenti scoppia la lite. Calenda accusa apertamente Renzi di fare giochini tattici mirati a procrastinare lo scioglimento di Italia Viva a dopo le elezioni europee e a svicolare dagli impegni finanziari necessari alla vita del nuovo partito.

Finché IV non si scioglie, continua a incassare autonomamente il 2 per mille. E poi c’è la Leopolda, di cui Calenda chiede la chiusura mentre Renzi intende continuare a convocarla.

La risposta è un sostanziale rinvio al mittente di tali accuse: IV si scioglierà dopo l’elezione del segretario del nuovo partito, quindi nel 2023; i finanziamenti serviranno per le elezioni e in quanto alla Leopolda, beh, scende in campo Renzi in persona su Twitter: «Chi conosce quell’esperienza sa che è un momento bello di confronto politico tra generazioni e storie diverse. È un momento in cui tante persone si avvicinano alla politica. Dire che non può essere più fatta la Leopolda non ha senso. La facciamo con migliaia di volontari dal 2010, non vedo perché dovremmo smettere di farla oggi in un momento in cui la politica va difesa dai populismi e dai sovranismi».

Ma l’assioma è: se non finisce la Leopolda, non finisce Italia Viva. E quindi ecco incartata la situazione in un vicolo senza uscita.

Per come è nato e per le vicende che ha avuto, il Terzo polo si può paragonare a un bambino della primaria che risponde a un bando di iscrizione all’università. Perché guardando la percentuale degli astensionisti (e anche cogliendo l’umore sui social), è possibile che vi sia un’area di persone che non si ritrova nella polarizzazione degli estremi immaginando la possibilità di una “polarizzazione delle mediane”, attraverso il recupero di temi e visioni che caratterizzano le democrazie liberali a ispirazione riformista: stato di diritto, amministrazione della finanza con contenimento dell’indebitamento, contrasto culturale – prima che finanziario – all’assistenzialismo, lotta alle diseguaglianze senza annullare le diversità ecc.

Temi da tradurre in programmi e progetti e da portare con serietà e credibilità nell’agone politico. Una caratura che è mancata alla coppia Calenda-Renzi e ora è inutile fare il pallottoliere per stabilire chi ha più responsabilità. Sin dall’inizio, erano più gli scettici che i possibilisti e hanno avuto gioco troppo facile. Ma forse si tratta di due personalità che non si possono definire incompatibili tra di loro, perché probabilmente sono incompatibili e basta, con chiunque.

Il coup de théâtre di Renzi (spia di altri progetti?) improvviso direttore del quotidiano Il riformista sta lì a dirla lunga: una testata per quanto di nicchia non è un elemento politicamente indifferente e il fatto che lui si sia sentito completamente libero di imbarcarsi in quell’avventura, senza condividere seriamente con quelli che avrebbero dovuto essere i suoi compagni di viaggio partitico, deve aver fatto saltare i nervi a Calenda, cui non difettano considerazione di sé e suscettibilità.

Giudizi troppo severi? Quali altri trarre dallo spettacolo di botte e risposte, dirette o per interposti portavoce, accuse e rivendicazioni, a volte al più appena mascherate da toni bonari e paternalistici? Ecco, anche questo impietoso propinarci gli stracci volanti, aiuta a guardare oltre.

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