Stati generali dell’economia, sfida inedita per l’Italia

Stati generali dell'econonomia: assise straordinaria convocata da Giuseppe Conte a partire dall’8 giugno in vista della prossima sessione decisiva del Consiglio europeo. Scelte strategiche a confronto per recuperare gli errori di un "ventennio perduto".

L’Italia ha fretta di ripartire e deve farlo con il piede giusto, per questo il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha indetto gli “stati generali dell’economia” per la settimana che inizia l’8 giugno.

Una grande assemblea che radunerà «tutte le forze produttive e le energie migliori» del Paese a Palazzo Chigi o, per avere lo spazio necessario al distanziamento fisico, nel gioiello rinascimentale di Villa Pamphili. Non c’è tempo per attendere l’esito del Consiglio europeo convocato il 19 giugno per decidere, all’unanimità, le dimensioni e le modalità reali del “Fondo per la ripresa” proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

A quell’appuntamento, che si prevede sicuramente non facile, dobbiamo arrivare con un nostro “recovery plan” che sia credibile e coerente. Questo decisivo passaggio politico è stato illustrato da Conte prima in una conferenza stampa e poi ad un evento organizzato dalla società di consulenza britannica Ernst & Young. L’accenno involontario ad un “piano di rinascita” ha creato un certo imbarazzo perché rimanda non all’epoca d’oro del nostro Rinascimento ma al programma eversivo della loggia P2.

Bozza Colao

Ad ogni modo, anche una settimana di incontri e consultazioni non può bastare per elaborare un progetto condiviso e sicuramente assai complesso e articolato. La traccia di discussione sarà probabilmente il lavoro elaborato dalla supercommissione di esperti guidata da Vittorio Colao.

Nonostante l’invito alla collaborazione e all’unità proposto dal presidente della Repubblica Mattarella, è fisiologico che esistano proposte e visioni radicalmente diverse e contrapposte sulle linee di politica economica da seguire. La voce più grossa l’ha fatta il presidente di Confindustria Carlo Bonomi in interviste dove parla di una classe politica che farebbe più danni del virus, ricevendo l’invito di Conte a fare proposte organiche che non si limitino al taglio delle imposte per le imprese.

I partiti di opposizione lamentano una scarsa capacità di ascolto da parte del governo e cercano di capitalizzare il consenso del malessere di alcuni ceti sociali, come si è palesato nella manifestazione romana del 2 giugno. Anche se Berlusconi si mostra più aperto al dialogo, mentre Lega e Fratelli D’Italia pongono la rimozione di Conte come presupposto per un possibile percorso unitario. Anche Goffredo Bettini, considerato l’ideologo e stratega del Pd, parla di una fase dove «Conte non basta più».

Al di là delle sigle, puntando sui contenuti, esiste una divaricazione netta di prospettive sulla presenza dello Stato nell’economia, se cioè solo come regolatore del mercato o attore primario di linee di politica industriale in tempo di crisi.

Così come è evidente l’alternativa irriducibile tra chi propone la ricetta delle grandi opere come motore della crescita (si riparla del ponte sullo stretto di Messina) e chi sottolinea la dannosità e inutilità di questo approccio in un territorio che ha bisogno di una serie di interventi più contenuti e diffusi come la bonifica ambientale, la cura del dissesto idrogeologico e il recupero delle aree interne del Paese invia di progressivo spopolamento.

Conte, nei suoi interventi, non parla solo degli effetti della pandemia ma di un problema endemico che dura da tempo. Un “ventennio perduto” dove solo «negli ultimi 13 anni, oltre 2 milioni di persone hanno lasciato l’Italia, svuotando in modo particolare il Mezzogiorno di molte delle sue energie più preziose».

Conte pone in evidenza la necessità di riforme strutturali nel settore della pubblica amministrazione e una riforma della giustizia penale e civile e del codice civile. Obiettivi che sono, a suo parere, condivisibili e non hanno alcun «colore politico».

Quale riconversione?

Dobbiamo capire, perciò, a quali “menti brillanti” si riferisce il presidente del consiglio come invitati agli “Stati generali dell’economia” e come sarà l’equilibrio dei poteri tra partiti, imprese, sindacati e società civile nel delineare una linea che non potrà essere incerta se, come affermato più volte, la direttiva ormai presa è quella della «riconversione ecologica della nostra economia, legata al Green Deal europeo». E perché non affrontare, in questo processo di riconversione, la necessità di investire nel settore di innovazione tecnologica ambientale o sanitaria piuttosto che negli armamenti?

Esistono, adesso, potenzialmente spazi di manovra per decine di miliardi. Una congiuntura unica e irripetibile che interessa diversi capitoli rimasti finora sospesi. Prendiamo, ad esempio, l’introduzione dell’assegno unico e universale per ogni figlio che comporta una riforma strutturale di 17 miliardi di euro che solo in questo momento si può realizzare abbandonando la logica sterile dei bonus e la marginalità di una materia delegata di solito ad un ministero senza portafoglio. Si tratta di investimenti che vanno inseriti in un quadro di interventi organici ad una certa visione di società e di giustizia sociale.

Così come, per limitarsi ad un settore emblematico, è chiaro che solo ora diventa possibile, senza retoriche moralistiche, sottrarre il bilancio dello Stato dalla dipendenza patologica delle entrate che arrivano dall’azzardo affidato in concessione a grandi società finanziarie.

Un argomento decisivo degli Stati generali sarà, sicuramente, la salvaguardia e il rilancio del Servizio sanitario nazionale. Su questo capitolo si scontrerà l’ultima battaglia per l’accesso ai 36 miliardi di euro del Mes, che al contrario dei tempi lunghi del Recovery fund, sono già disponibili come prestiti a tassi molto bassi, o addirittura negativi secondo le ultime dichiarazioni ufficiali. Ormai anche il segretario del Pd Zingaretti ha dato, anche formalmente, il via libera a tale procedura con un’intervista a Il Sole 24 ore, mentre rimangono, nella maggioranza governativa, riserve tra i 5 Stelle e Leu per il timore di aderire ad un meccanismo legato, comunque, ad un trattato che prevede forme di controllo impositivo della nostra economia.

Sono ore decisive del nostro futuro che richiedono una forte partecipazione della società civile e dell’opinione pubblica per capire come evitare che gli effetti di una crisi di dimensioni planetarie venga ad abbattersi soprattutto sulle fasce più deboli di un mondo diseguale.

Una prova di esame che non ammette il rinvio a settembre. In quel mese si presenterà il documento degli obiettivi programmatici di finanza pubblica che verranno scritti praticamente in questi giorni.

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