Sri Lanka, è Ranil Wickremasinghe il nuovo Primo Ministro

Il premier ha subito fatto appello alla popolazione per lavorare insieme, dopo le divisioni del passato tra cingalesi e tamil, alla costruzione dell'unità nazionale. Con la sconfitta dell'ex presidente dello Stato, Rajapaksa, il Paese volta pagina. Un approfondimento
Ranil Wickremasinghe

Ranil Wickremasinghe, candidato dell’United National Party (UNP), è il nuovo Primo Ministro dello Sri Lanka. Questo il verdetto delle elezioni generali che hanno decretato la sconfitta di Mahinda Rajapaksa, già presidente del Paese asiatico, che si era presentato alla tornata elettorale con la speranza di diventarne il Primo Ministro. Ranil Wickremasinghe ha subito lanciato il suo appello alla nazione per un impegno congiunto alla costruzione di una “società civilizzata, con uguali opportunità per tutti”. L’UNP ha ottenuto la maggioranza in 11 dei 22 distretti elettorali dell’isola, mentre United People’s Freedom Alliance (Upfa) dell’ex capo dello stato è risultato vincitore in altri otto. I rimanenti tre distretti sono andati al partito che raccoglie le posizioni politico-sociali della minoranza tamil.

 

Il nuovo Primo Ministro ha subito rilasciato una dichiarazione ufficiale indirizzata a tutti i cittadini del Paese affermando, fra l’altro: «Il popolo ha sostenuto la rivoluzione fatto l’8 gennaio e vuole portarla avanti. Offro i miei ringraziamenti più sinceri a tutti i partiti e ai singoli che hanno lavorato in modo instancabile, per garantire la vittoria della popolazione. Siamo stati capaci di creare un’atmosfera pacifica, necessaria allo svolgimento di elezioni libere e trasparenti». Quello che, forse, più conta in un Paese, che ha conosciuto una terribile guerra civile fra singalesi e tamil durata più di un quarto di secolo, è stato l’appello del nuovo premier ad una sorta di impegno per costruire una unità nazionale, che resta il nodo fondamentale dell’isola dell’Oceano Indiano dopo la fine delle ostilità che hanno, comunque, lasciato molte ferite da lenire ed una forte polarizzazione sociale, religiosa e politica nella popolazione.

 

«Il popolo – ha aggiunto Wickremasinghe– non deve dividersi tra vincitori e perdenti. Dobbiamo unirci insieme come figli e figlie della nostra madre terra, per costruire una nuova cultura politica in questo Paese. Dobbiamo lavorare insieme per far prosperare la nazione e portarla in una nuova era. Per costruire una società civilizzata, un governo consensuale, e creare un nuovo Paese con uguali opportunità per tutti».

 

La figura dello sconfitto, Rajapaksa, è emersa ancora una volta come oggetto di controversie e contrasti. Nelle elezioni presidenziali dello scorso gennaio il verdetto popolare era stato di chiara condanna ad un presidente che era accusato da più parti di aver determinato il crollo dello Stato di diritto, provocando una corruzione rampante in diversi settori della vita sociale ed amministrativa. Rajapaksa ha tentato un ritorno sulla scena politica presentandosi come candidato per la poltrona di Primo Ministro, svolgendo una campagna che molti hanno definito causa di tensioni etniche e religiose. Molti vedono nella sua sconfitta una vera salvezza per il futuro del Paese.

 

Il messaggio che le elezioni politiche hanno lanciato è, quindi, chiaro: continuare il processo di cambiamento politico iniziato con l’inversione di tendenza già manifestatasi nelle elezioni presidenziali di gennaio e confermare l’uscita di scena, almeno per ora, dell’ex-Presidente, vanificando il suo tentativo di ritornare al potere. Il Paese è tornato alle urne, dopo che il 27 giugno scorso il presidente Maithripala Sirisena aveva sciolto il Parlamento, che di fatto avrebbe potuto restare in carica fino all’aprile 2016. In effetti, la coalizione che lo aveva portato alla presidenza aveva chiesto nuove elezioni politiche entro 100 giorni di presidenza. Il gruppo di partiti che avevano sostenuto Sirisena, infatti, potevano contare solo su 65 membri in un’assemblea legislativa formata da 225 deputati. Era evidente che la stabilità del panorama politico del Paese sarebbe dipesa, nei prossimi anni, da una maggioranza parlamentare che si poteva sperare di ottenere solo con nuove elezioni.

 

Il risultato, questo è opportuno sottolinearlo, non ha decretato un trionfo della coalizione, che tuttavia ha ottenuto la maggioranza almeno relativa all’interno del Parlamento. È salita, infatti, a 113 rappresentanti. La scena politica è cambiata profondamente da quando nel 2010 Mahinda Rajapaksa aveva vinto raggiungendo quasi i due terzi della maggioranza, con tutta probabilità grazie alla vittoria contro i guerriglieri Tamil – Liberation Tigers of the Tamil Eelam (LTTE) – che per venticinque anni avevano ingaggiato la crudele guerra civile con il governo di Colombo. A distanza di alcuni anni da quelle circostanze, oggi, sebbene le ferite siano ancora aperte e la polarizzazione ancora viva, non era pensabile una vittoria a valanga.

 

Ora, comunque, il nuovo Presidente e Primo Ministro avranno modo di impostare un piano politico che potrà affrontare i nodi del Paese, soprattutto quello di ristabilire una vera unità nazionale. Rajapaksa resta il vero sconfitto: non ha colto il messaggio lanciato dal popolo nelle elezioni del gennaio scorso che lo hanno visto sconfitto nella corsa ad un nuovo mandato presidenziale e, allo stesso tempo, non ha saputo e potuto mantenere la stessa forza di convinzione nei confronti dell’elettorato che 5 anni fa gli aveva dato un mandato pressoché plebiscitario.

 

Il Paese, quindi, volta pagine. Resta da vedere se il nuovo Presidente già al potere dal gennaio scorso, con un Primo Ministro ed una buona parte del Parlamento provenienti dalla stessa area di coalizione riusciranno ad affrontare in modo soddisfacente e costruttivo le sfide che il Paese si trova di fronte.

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