Spagna, scenario aperto dopo le elezioni di luglio

Le strane elezioni di luglio convocate dal Capo del governo spagnolo uscente, il socialista Pedro Sánchez, non hanno trovato impreparati gli spagnoli, che hanno partecipato alla consultazione con un’affluenza di oltre il 70%. Ma il voto non è stato affatto decisivo, sebbene la maggioranza relativa sia passata al Partito Popolare
Spagna Foto Ap

Il presidente del Consiglio spagnolo, Pedro Sánchez, può dirsi soddisfatto per aver anticipato le elezioni generali. Nel maggio scorso, il giorno dopo le elezioni regionali e comunali, dove i socialisti (Psoe) hanno subito una forte caduta nel sostegno elettorale, Sánchez ha deciso di chiamare al voto gli spagnoli annunciando la consultazione con quasi cinque mesi d’anticipo, e fissandola in una data del tutto fuori schema: il 23 luglio, un mese in cui un’alta percentuale di spagnoli va in vacanza.

La stranezza della data ha indotto l’organo incaricato di gestire le elezioni (la Junta Electoral Central) a modificare alcune norme per non nuocere a quelle persone che, convocate ad un seggio elettorale, avrebbero visto messe in dubbio le loro vacanze, o perso i soldi investiti in un viaggio, ecc.

Nonostante tutti gli inconvenienti, comunque i dati di partecipazione di domenica 23 luglio sono stati soddisfacenti: il 70,40% dei quasi 37,5 milioni di elettori si è recato alle urne, appena sotto la media in questi casi (71,50%), dimostrando così l’interesse degli spagnoli per la sfida in gioco: il socialista Sánchez continuerà a presiedere il governo, oppure subentrerà Alberto Núñez Feijó del Partito Popolare?

Purtroppo l’incognita continua a restare aperta. I risultati hanno cambiato la mappa politica e la composizione delle due camere, ma non consentono ancora di assicurare una maggioranza in grado di designare un presidente e formare governo. Si entra dunque in una zona di trattative e patti.

 Núñez Feijó, quale vincitore delle elezioni (136 seggi su 350), ha già annunciato di proporsi per essere designato come presidente del Consiglio. Sarà complicato, però: perché con i 33 deputati di Vox (estrema destra) non si arriva ai 176 seggi necessari. Tenterà di attirare i 5 deputati del partito nazionalista basco (Pnv), di destra, ed a patteggiare l’astensione di altri piccoli partiti per riuscire in qualche modo a stabilire una maggioranza semplice. Non sarebbe la prima volta che il Pnv arriva a patti con il Partito Popolare, solo che fino a poco fa ha sostenuto Pedro Sánchez come candidato premier. Quel che è sicuro è che il Pnv giocherà la carta che riterrà più vantaggiosa.

Quindi, se Feijó non ce la fa, Sánchez tenterà di ripetere la stessa formula che gli ha permesso di governare negli ultimi quattro anni. Cioè aggiungere ai suoi 122 deputati i 31 della coalizione Sumar (la nuova sigla di sinistra che raccoglie gli attuali alleati di governo) e anche quelli delle forze della sinistra basca, catalana e galiziana.

Non arriverà però alla maggioranza assoluta se non convincerà anche il Pnv basco ad allearsi, o se almeno il Pnv si astenesse per ottenere una maggioranza semplice. In questa formula potrebbe giocare un ruolo decisivo il partito dell’ex presidente del governo catalano, Carles Puigdemont, in questo momento fuggito dalla Spagna per evitare problemi di giustizia.

Molti analisti, forse guardando al recente passato, intravedono una nuova convocazione di elezioni anticipate, convinti che sia i socialisti che i popolari saranno più propensi a provocare una situazione di stallo istituzionale piuttosto di permettere all’avversario di occupare il Palazzo della Moncloa, la sede della presidenza del Consiglio.

Sembra che la classe politica sia incorsa nella contraddizione di non osservare l’articolo 40.2 della Costituzione spagnola, che recita: «I pubblici poteri […] assicureranno la sicurezza e l’igiene sul lavoro e garantiranno il riposo necessario limitando la giornata lavorativa, le ferie periodiche retribuite e la promozione di centri adeguati». Sì, perché il 17 agosto i nuovi deputati e senatori dovranno prestare giuramento.

A partire del 21 agosto, quindi, re Felipe VI inizierà il giro di consultazioni con i rappresentanti dei partiti e proporre un calendario per affidare l’incarico di formare il nuovo governo. Se a fine agosto o inizio settembre non si sarà designato un nuovo capo del governo, allora le Cortes Generales (entrambe le camere) saranno sciolte e verranno convocate nuove elezioni. Speriamo di no, dati anche i costi dell’operazione. Secondo informazioni fornite dal governo, il budget per le elezioni di domenica scorsa ammontava ad oltre 220 milioni di euro.

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