Sotto lo sguardo del Buddha

In margine al simposio buddhista- cristiano di Chiang Mai, in Thailandia
Buddisti

Wat Rampoeng Tapotaram, alla periferia di Chiang Mai nel Nord della Thailandia, è un tempio importante, non solo perché è sotto la diretta giurisdizione del re, ma anche perché è stato costruito quasi sei secoli fa. L’abate è Phrakru Bhavanavirach (Ajahn Suphan), maestro rinomato di meditazione vipassana, da anni impegnato con altri monaci in un’esperienza di dialogo con cristiani, soprattutto laici, e con seguaci dell’altro grande filone del buddhismo, quello mahayana dominante in Cina, Giappone, Vietnam e Corea.

È lui che accoglie nel suo tempio i partecipanti al IV simposio buddhista-cristiano organizzato dalla Mahachulalongkorn Rajavidyalaya University, dai Focolari e dal movimento buddhista giapponese della Rissho Kosei-kai. Deve concludere l’esperienza di quattro giorni e salutare i partecipanti prima della partenza. Si tratta di un atto importante quanto il benvenuto che era stato dato qualche giorno prima dal venerabile Ajahn Tong nel suo tempio di Wat Phrathat Sri Chomthong Voravihara, dove si è svolto il convegno.

Phra Ajahn Suphan accoglie tutti con un pranzo delizioso, servito sotto gli alberi a fianco del tempio principale. Per timore che gli alberi del bodhi – quello sotto il quale il Buddha ricevette l’illuminazione – non garantiscano un’ombra sufficiente, fa aggiungere alcuni ombrelloni.

Al termine, Phra Ajahn Suphan prende la parola davanti al Buddha dorato e ringrazia per aver avuto la possibilità di ospitare i partecipanti al simposio. Mentre quattro monache distribuiscono un souvenir, altri monaci confermano l’apprezzamento per l’avvenimento dei giorni precedenti, sottolineando che la collaborazione fra i monaci buddhisti e i cristiani deve continuare. Maria Voce, presidente dei Focolari, ringrazia con un dono ai monaci. E proprio lo scambio dei regali suggella la gratitudine reciproca.

 

C’è un’atmosfera davvero “magica”, ma anche semplice, che porta il sapore di una “presenza”, che ciascuno definisce secondo la propria tradizione; ma che, senza dubbio, evoca sentimenti comuni di fratellanza. Ci sono cristiani e buddhisti. Fra i primi c’è anche un anglicano e un battista. E poi laici, ma anche sacerdoti cristiani, monaci e monache buddhisti. Tutti mondi spesso divisi da barriere, che normalmente si sfiorano, qualche volta anche si incontrano. Tuttavia, spesso, soprattutto in passato, si sono anche scontrati. Qui, sotto lo sguardo sereno e impassibile di Buddha, ma certo anche sotto l’occhio paterno di un Dio che è padre di ogni uomo e donna, ci si incontra come fratelli e sorelle.

 

Il “diverso”, l’“altro” non incute timore. È piuttosto un dono che in questi giorni ha assunto un’infinità di sfumature. I cristiani restano colpiti dall’ospitalità thai, tutto è cerimonia, sorriso, benvenuto: quasi ci si vergogna di fronte a una tale capacità di far sentire l’ospite davvero come Dio che viene a far visita. Allo stesso tempo c’è solennità e raccoglimento, dimensioni ormai vago ricordo in una civiltà convulsa e disordinata come quella dell’Occidente. D’altra parte, ci racconta un’amica thai, una monaca del tempio voleva andare a prendere una macchina fotografica per riprendere i cristiani impegnati in un momento di valutazione dei giorni vissuti a Chiang Mai. Il gruppo le ispirava sentimenti di pace e di unità. Una testimonianza reciproca, quindi, che valorizza ancor di più le diversità ed evita confusioni.

Tutto questo è il risultato di quattro giorni di incontro fra duecento buddhisti e cristiani, impegnati a confrontarsi su un argomento impegnativo: “Le religioni di fronte alle sfide del mondo globalizzato”. Si è parlato di crollo e, addirittura, collasso di valori, ma l’esperienza vissuta è stata la risposta più convincente.

 

All’aeroporto vedo alcuni monaci che si avviano alla stessa uscita del nostro volo. Siedono in una sala appositamente riservata. Riconosco il venerabile Chao Khun Than Suthivorayan, uno degli organizzatori del simposio: attorniato da una decina di altri monaci mi sorride. È già insolito. I monaci sono quasi sempre impassibili: l’impassibilità è una virtù in Asia.

Mi sorprende ancora di più quanto succede a Bangkok, un’ora più tardi. Appena atterrati, altri monaci del gruppo mi si avvicinano e mi sorridono, guardandomi con compiacimento. Ovviamente l’anziano monaco deve aver raccontato loro della nostra esperienza comune. Anche per questi monaci non siamo più degli sconosciuti: si è rotta la barriera dell’impassibilità, si è colta un’essenza diversa della realtà. È un primo effetto del simposio appena concluso.

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