Il sogno interrotto di Soumayla Sacko

All’assassinio del giovane migrante del Mali, attivo nella difesa dei braccianti agricoli in Calabria, si può rispondere solo costruendo un modo giusto di stare al mondo
ANSA/ CIRO FUSCO

Un colpo preciso di fucile, come quello usato per la caccia al cinghiale, ha colpito alla testa Soumayla Sacko.

Il giovane migrante, arrivato dal Mali e impegnato nella sezione locale dell’Unione sindacale di base (Usb), stava raccogliendo delle lamiere in una fabbrica abbandonata  nel vibonese, in Calabria, per aiutare degli amici che dovevano usarle per costruire delle baracche più sicure di quelle erette in maniera precaria ed esposte al rischio di incendio.

La condizione dei lavori migranti in quelle terre di intensa produzione agricola è uno scandalo noto a tutti, a prescindere dai governi. La recente legge contro il reato del caporalato non intacca il meccanismo di sfruttamento insito nella filiera di chi decide i prezzi dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole, direttamente o tramite la trasformazione industriale.

Le forze di polizia dicono di stare sulla buona strada per rintracciare l’autore dell’omicidio, fisiologicamente legato alle cosche mafiose della zona. Ha poco senso stare a fare la conta sulla numerosità del corteo di protesta dei lavoratori scesi in strada il 4 giugno, giorno di sciopero indetto dall’Usb, la combattiva sigla sindacale attiva, assieme ad altre poco note come la Sicobas, in quelle aree come anche la logistica e lo spostamento delle merci, che attirano i lavoratori con meno capacità di far valere gli elementari diritti conquistati nel ‘900 in Europa.

Ci vuole un grande coraggio e la forza di rischiare tutto per fare il sindacalista dei nuovi braccianti, nel senso di coloro che non hanno nulla oltre le braccia per lavorare e guadagnare il pane. Sono sempre in tanti coloro che hanno la forza di manifestare per cercare di cambiare condizioni indegne per degli esseri umani. E non basta lo sdegno di un giorno, come documentano gli ineccepibili rapporti dell’associazione dei medici per i diritti umani. Purtroppo la forbice della diseguaglianza, che fa aumentare il numero dei cittadini italiani impoveriti, facilita una competizione senza senso tra gli ultimi e i penultimi, impedendo di alzare lo sguardo verso i meccanismi di sfruttamento che generano lo scempio eclatante che si consuma in alcune zone d’Italia, non solo nel Mezzogiorno.

Pensare poi di fermare l’arrivo dei migranti con l’esternalizzazione delle frontiere nella Libia o in Niger , dove si consumano crimini e gravi violazioni, documentate dal quotidiano Avvenire, vuol dire solo illudersi di chiudere gli occhi.

Eppure una strada diversa è possibile. In una splendida terra del nostro Sud, nel Sannio a vocazione agricola, dal 18 al 20 maggio si è svolta un’importante iniziativa, il festival dei “porti di terra”, per mettere in evidenza come una distribuzione ordinata e intelligente dei migranti, riconosciuti come persone con storie e volti riconoscibili, sia all’origine di una alleanza per rigenerare, assieme agli storici residenti, un’economia che riscopre antichi saperi e nuove ricchezze. Città Nuova ha pubblicato un testo che illustra «L’Italia che non ti aspetti», quella cioè che è capace di creare dei luoghi accoglienti per tutti come la luce del porto che annuncia la salvezza dalla deriva del naufragio di una civiltà che, dimenticando le sue radici, rischia di diventare incapace di dare frutto.

C’è un altro modo di stare al mondo che Soumayla Sacko sperava per la piccola figlia rimasta in patria ad attenderlo. Scrivere queste note alla vigilia dei 50 anni dall’uccisione negli Usa di Bob Kennedy ci riporta a fare i conti con i tanti “sogni interrotti” della storia collettiva dell’umanità che chiedono di essere ripresi con gratitudine e ostinazione

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