SLOVENIA un supplemento d’anima

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Mentre a Lisbona si incollano i cocci del sogno europeo mandato in frantumi dalla miopia e dall’egoismo di alcuni Paesi che hanno cancellato con un colpo di spugna il lavoro di generazioni, a Lubiana si festeggia l’evento di un piccolo Paese alpino, la Slovenia, tenuto finora ai margini della storia, che ha bruciato le tappe del suo rientro in Europa e che avrà in questo primo semestre del 2008 la presidenza dell’Unione europea. Potrebbe essere una buona occasione per rilanciare le idealità che si sono perdute lungo la via, mano mano che cresceva il numero dei nuovi soci, perché la Slovenia ha dimostrato di credere nelle opportunità che l’Unione può offrire a tutti. Abbiamo chiesto all’onorevole Lojze Peterle, deputato sloveno al Parlamento europeo e vicepresidente del Partito popolare europeo, rintracciato fra i mille appuntamenti che lo vedono impegnato in questi giorni, quali compiti la Slovenia pensi di dovere assolvere primariamente in questa delicata fase del suo mandato di presidenza. Per la Slovenia – ci ha detto Peterle -, questa presidenza rappresenta una grande sfida e anche una grandissima responsabilità. Le priorità saranno quelle di ottenere la ratifica della riforma dell’accordo europeo e la realizzazione delle strategie proposte a Lisbona. In secondo luogo si impegnerà per l’energia e l’ambiente; l’allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali; il dialogo interculturale; la lotta contro il cancro. Certamente, però, il tema più scottante sarà la questione del Kosovo, riguardo alla quale la Slovenia cercherà di assicurare l’unitarietà della politica europea. La Slovenia sarà comunque attenta ad ogni miglioramento che verrà raggiunto nei rapporti tra gli Stati del sud-est europeo, nel cammino verso l’integrazione completa nell’Unione. È molto importante che tutti i Paesi della regione, iniziando dalla Croazia, sfruttino questa prospettiva europea, già offerta loro a Salonicco nel 2003. L’allargamento in direzione del sud-est europeo è infatti strategico per la stabilità e per la cooperazione di tutta l’Unione. In questo senso sarà organizzato il dialogo interculturale, con un particolare accento posto su questa regione. Come esperta del sud-est, cioè del Paesi balcanici e, allo stesso tempo, con la propria esperienza europea, la Slovenia può assicurare un proprio valore aggiunto. Devo poi menzionare in modo particolare l’obbiettivo della lotta contro il cancro. Il cancro sta di- ventando una minaccia sempre più grande per l’Ue e richiede un’attenzione permanente e un coordinamento maggiore negli sforzi compiuti dalle istituzioni europee e anche da parte degli Stati membri. L’impegno sloveno sarà pertanto orientato a migliorare la prevenzione. Con la decisione di entrare nell’Ue, la Slovenia si sente politicamente ed economicamente più sicura. Un anno fa ha introdotto l’euro e a dicembre, entrando nella zona di Schengen, ha fatto l’ultimo grande passo per completare il cammino dell’integrazione. Col nuovo accordo la Slovenia si aspetta che l’Unione mostri sufficiente spirito di iniziativa per rendere le politiche comuni più efficaci: così in politica estera come per la difesa, per la migrazione, come per l’energia, per la sicurezza, come per i cambiamenti climatici. Si aspetta anche che l’Ue sia più attenta alle differenze dello sviluppo che sono ancora presenti e che riuscirà a vincere suscitando una solidarietà adeguata al bisogno. La Slovenia si aspetta infine che, con l’aiuto della carta dei diritti fondamentali dell’uomo firmata poco fa, questi diritti siano posti ancor di più al centro dell’attenzione e che siano rispettate, anche in futuro, tutte le identità europee, indipendentemente dalla loro consistenza numerica. Il peso dei valori cristiani Personalmente conservo un ricordo molto vivo di quando, negli anni Cinquanta, visitando più volte la Jugoslavia per motivi di lavoro, trovavo di primo mattino, anche nei giorni feriali, le chiese gremite di gente che poi doveva correre al lavoro. Sapevo del tallone pesante di Tito, non solo verso gli italiani, ma anche più in generale verso i cattolici iugoslavi. Oggi questo popolo, raggiunta l’indipendenza, taglia un nuovo traguardo nel contesto dell’Unione europea che si appresta a guidare nei prossimi sei mesi. A quali risorse morali ricavate dalla propria storia saprà fare ricorso in questo non facile compito? Ne parlo con Silvester Gabers?c?ek, segretario al ministero della Cultura sloveno. Prima di tutto – mi dice – quello odierno è un riconoscimento ad una nazione molto provata, ma che è riuscita a conservare la propria identità grazie alla sua genuina cultura che ha profonde radici nel cristianesimo. La Slovenia è stata più volte invasa da eserciti stranieri o schiacciata da forti ideologie, come il nazismo e il comunismo, e gli abitanti hanno sempre lottato per preservare la loro cultura. A causa della guerra civile è stato doppiamente crudele il Secondo conflitto mondiale le cui dolorose conseguenze si risentono tuttora. Ai giorni nostri, quello che la Slovenia può dare è la dimensione della convivenza pacifica e la grande sensibilità per la libertà e i princìpi della democrazia, già espressi nella antica costituzione dei principi della Carinzia, in vigore dall’ottavo secolo fino alla metà del Quattrocento, e che Giorgio Washington prese come base per la Costituzione americana. Oggi, realtà culturali, sociologiche ed ideologiche diversissime si sono incrociate sul territorio sloveno, in un’Europa che ha difficoltà a definire la propria dimensione spirituale. Quali valori possono ancora fare emergere i cristiani nel suo Paese? C e r tamente quello della perseveranza per avere saputo nei decenni di prova, sotto i vari totalitarismi del XX secolo, essere sale in questa magma globalizzato; e soprattutto avere tenuta sempre accesa in questa notte della cultura europea, la luce della fede. Si sente, in questa sintesi, il respiro di un popolo che, stanziato ormai da un millennio nella Mitteleuropa, ha metabolizzato le due grandi componenti culturali delle proprie radici, quella di Benedetto e quello di Cirillo e Metodio – avrebbe detto Giovanni Paolo II che vaticinò un futuro di unità per il continente – e lo si trova pragmaticamente inserito nelle circostanze di un oggi che potrà anche sembrare angusto, ma che è pur sempre quel mondo possibile nel quale viviamo. Così vediamo la Slovenia – piccola nei numeri, ma grande nello slancio oltre l’ostacolo – individuare e affrontare quei problemi in cui la sua lunga esperienza – soprattutto quella dolorosa di un vissuto recente – le consente di fare da guida alla lunga e talora svogliata cordata europea. Cammineremo dunque, nei prossimi mesi, forse ancora su un terreno difficile, aspro, di montagna; ma è un terreno che la Slovenia conosce bene. Perché è il suo. Sono del parere che a questa giovane guida alpina possiamo affidarci. GLI SLOVENI ATTRAVERSO LA STORIA Quanti degli antichi abitanti (norici, illiri, veneti, celti, romani) siano rimasti nel territorio dell’attuale Slovenia durante la migrazione dei popoli all’epoca in cui questa regione venne inondata dagli slavi, lo si potrà sapere soltanto fra qualche anno, applicando a campioni significativi di popolazione le ricerche sul dna. In ogni caso, nel VI secolo il territorio compreso fra il Danubio e gli Alti Tauri a sud di Salisburgo sino a Trieste fu occupato da tribù slavo-occidentali, giunte nelle Alpi Orientali attraverso la Moravia. Circa 200 mila persone vissero allora in questo territorio, tre volte più vasto dell’odierna Slovenia. Per difendersi dagli avari da est e dai bavari da nord-ovest, intorno al 620 essi si unirono nel Ducato slavo di Carantania col centro nella pianura di Klagenfurt (sloveno Celovec) nell’odierna Carinzia austriaca. Nel 745 gli sloveni accettarono il dominio dei franchi e abbracciarono la religione cristiana. Per circa mille anni, il Paese fu soggetto alla costante pressione tedesca verso il caldo Adriatico. A partire dal Quattrocento, per ben un secolo gli sloveni cercarono di fermare l’avanzata verso il sud dell’impero germanico, ma con esito sfavorevole. Da allora gli sloveni rimasero sudditi degli Asburgo sino allo sfacelo della monarchia dell’aquila bicipite, nel 1918. La coscienza nazionale slovena, dunque, si formò scontrandosi col germanesimo, non certo in campo militare, per la sproporzione delle forze, ma difendendo la propria cultura. Dai turchi, che avevano occupato la Serbia, la Bosnia e gran parte dell’Ungheria, gli sloveni, insieme ai croati, difesero invece efficacemente l’Europa centrale con le armi. Durante la Prima guerra mondiale, si crearono le condizioni per realizzare il sogno serbo di estendere il loro regno su tutto il territorio a ovest del Danubio, dove vivevano i popoli slavi, fino alla Drava. Nacque così la Jugoslavia, che dopo le alterne vicende della Seconda guerra mondiale fu per quasi mezzo secolo una repubblica socialista, sotto la guida del maresciallo Tito. Non si sa tutt’ora quante migliaia di persone furono vittime di questa ri- voluzione. Purtroppo questo olocausto culminò nei boschi di Ko?evje, dove, nel primo dopoguerra, furono giustiziati più di 11 mila sloveni cristiani. Questa ferita è rimasta aperta dolorosamente durante tutto il periodo della Jugoslavia di Tito. Ma ormai la crescente intolleranza culturale, linguistica, religiosa e nazionale aveva causato lo sfaldamento dello Stato federale, così che nel referendum del 1990 il 95 per cento della popolazione slovena si espresse per l’indipendenza. Dopo circa mille anni il sogno d’uno Stato sovrano sloveno si era finalmente realizzato.

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