Sindacati e lavoratori della scuola in piazza per la riforma

La manifestazione esprime il desiderio d’essere ascoltati perchè la legge tocca le finalità della scuola, la sua organizzazione, i compiti dei dirigenti e le risorse umane e finanziarie. La logica non può essere sempre e solo quella dei tagli
Manifestazione scuola Milano

Sembra una situazione paradossale quella  in cui ci si muove oggi nel confronto tra governo e operatori della scuola. Da una parte il governo vorrebbe sottolineare che il progetto della Buona Scuola che propone è stato presentato a tutti ed è stato oggetto di dibattito aperto perché si è potuto contribuire criticamente con un forum aperto nei mesi scorsi.  Dall’altra parte gli operatori della scuola, tutti gli operatori della scuola e tutti i sindacati, si sentono assolutamente non ascoltati  nelle loro indicazioni nel  momento in cui si va a comporre il progetto di riforma. Che la situazione sia questa lo testimonia l’apertura offerta dal Presidente del Senato Grasso che ha dichiarato l’opportunità e disponibilità di un incontro con gli operatori della scuola per accogliere le loro proposte.  

Il dibattito in atto non è generico e fazioso ma va a toccare le finalità della scuola, la struttura della sua organizzazione, l’articolazione dei compiti dei dirigenti e la gestione delle risorse umane e finanziare delle scuole.  La riforma propone un modello che per molti aspetti non solo non risolve ma complica le situazioni difficili in cui le scuole si muovono. Sono chiari gli intenti di risparmio finanziario ma meno chiari quelli pedagogici e prospettici, i contenziosi che ne deriverebbero prevedibili.

I docenti ed i collaboratori scolastici temono che la logica non sia quella di una riforma ma ancora quella del taglio sui bisogni della scuola, che scarica su personale docente e non, e sulle famiglie il peso della gestione della scuola.              A guardare le cose da vari punti di vista il risultato non sembra cambiare.

Dal punto di vista dei Dirigenti scolastici, affianco all’indubbio peso discrezionale che è  loro attribuito, un diritto che dovrebbe assicurare una possibilità di “governo” delle situazioni, si trova una responsabilizzazione personale ed una insufficienza di risorse, finanziare e di personale amministrativo e docente, con cui si dovrà fare i conti. Insomma si aumentano i compiti del dirigente senza un supporto alle sue responsabilità e senza una riqualificazione dei dirigenti stessi, con l’aggravante che queste possibilità di esercizio di governo non vanno a toccare la qualità del lavoro didattico.

Dal punto di vista dei docenti se l’assunzione dei precari è cosa giustissima, invocarla come il fiore all’occhiello della riforma significa mistificare il dato oggettivo. Tale assunzione è motivata da una pendenza con l’Europa che ha espressamente imposto all’Italia  l’assunzione dei precari ogni anno chiamati al lavoro ma mai assunti a pieno titolo. La possibilità che sia il dirigente ad assumere ed a favorire o contrastare i trasferimenti è via come l’antefatto per costruire scuole pubbliche di serie A e di serie B, con un vantaggio indubbio per le scuole private. Per i docenti pesa inoltre la prospettiva di una precarizzazione dei loro diritti e la generica e non chiarita questione della “valutazione” . Con qualunque insegnante si parli non si troverà un muro di gomma su questo argomento.  La maggior parte sembra disposta ad essere valutata ma i parametri e gli enti  che opereranno questa valutazione non solo non sono chiari ma rischiano di ridursi ad elementi nozionistici e burocratici. Il fatto che questa valutazione possa poi essere ridotta ad un giudizio del dirigente o di una commissione interna genera il timore di creare un clima difficile nella scuola.

Questo del “clima” dell’ambiente in cui si lavora non è fatto marginale nel lavoro dell’insegnante. Anche su questo la linea programmatica indicata finora dalla riforma sembra andare nella direzione di una incentivazione che non tiene conto della essenziale capacità di collaborazione che qualifica il lavoro didattico. Nella scuola, nel tempo in cui si parla di “comunità educante” in pedagogia, non può essere presentata come qualificante la logica della “concorrenza” tra insegnanti  ma va incentivata, al contrario la logica della collaborazione. Interdisciplinarietà, progettualità trasversale, attività e realizzazioni di percorsi di approfondimento e qualificazione dell’apprendimento si muovono solo  nella misura in cui c’è una condivisa progettualità che si fonda su collaborazione e stima reciproca.

Dalla parte dei genitori c’è ormai coscienza che senza il “contributo volontario” delle famiglie, richiesto da tutte le scuole ogni anno, moltissime attività ed a volte i bisogni primari della scuola non sarebbero possibili. Tener conto di tutte queste variabili è compito della politica e del governo, le manifestazioni del 5 maggio con l’alto numero dei partecipanti ci sembra vogliano ancora una volta ricordare al governo che non basta promettere fondi per l’edilizia scolastica e bloccare gli stipendi degli insegnanti per anni, per risolvere o rilanciare la scuola.

Ascoltare chi vive nella scuola e determinare non progetti generici ma confrontarsi su singole questioni e le operatività in vista di un progetto di qualificazione della scuola è un compito da assumersi per costruire un progetto per una scuola che voglia davvero essere “Buona”. Del resto nella scuola si gioca il futuro del nostro paese.

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