Silvia Lelli a Milano

Neon collection/neon installation 1982/ 2017. Tra surrealismo, arte concettuale, spazialismo, performers, 44 opere in esposizione dal 5/10 all’ 11/11/2017, presso Twentynine arts in progress Gallery

La 29 Arts in progress gallery dopo la poetica di Gian Paolo Barbieri nella Milano Photo Week 2017 e la mostra itinerante al Victoria and Albert Museum di Londra, al Mam di Mosca, a Kalingrad, a S. Pietroburgo, si occupa di Silvia Lelli: laurea in architettura, fascino assoluto per spazi teatrali, sperimentare, intuire, anticipare, performing arts, interdisciplinarità, riprendere un evento che non può essere ripetuto, bloccato, comprato, per spirito di denuncia oltre che per pura bellezza.

Risale ai dadaisti, agli inizi del XX secolo quando per Gillo Dorfles combattono Hitler, i soli, con arguto humor. La svolta di Silvia Lelli è nel 1978, l’incontro con Dario Fo, Histoire du soldat di Igor Stravinskij per la Scala, “tutti attori alle prime armi, un vero laboratorio”.

Silvia Lelli supera il limite, oltrepassa il concetto bidimensionale come nella videoinstallazione Vuoto con memoria al M.A.R. di Ravenna, conclusasi l’11 luglio 2017, dove l’autore conquista tridimensionalità attraverso il concetto spaziale di Fontana e l’architettura delle scenografie.

«Un limbo – scrive Silvia Lelli – tenuto lontano dall’oggi. Ora è messo in dialogo e mostra la sua luce uscendo parzialmente e solo momentaneamente dall’ ombra. Spazio che ritiene puro stato, fondamenta. Incrocio di muri, corridoi, soffitti, comunque evocativo di presenze evanescenti. In senso letterario e filmico, ancor più che derivante dalla figurazione pittorica e fotografica. Interviene anche la bellezza dell’ascolto dello spazio interno (quasi un’introspezione) e dello spazio esterno. Sequenze di spazi, camere racchiuse tra muri ricchi di tracce ma aperti come vasi comunicanti».

Walter Prati, musica stridente dei trasformatori, evoca quasi in Neon collection/ Neon installation, il silenzio perfetto della camera anecoica di Harward di John Cage, dove senti il fruscio del cervello, il concetto spaziale di Lucio Fontana, quando “la mente parla con un altro nella testa” che nell’Autoritratto di Carla Lonzi del 2010 si rivela un parlare con Dio – ’faccio un simbolo’ credo in Dio «faccio due tagli e allora faccio un atto di fede, come un altro potrebbe fare una macchia nera».

John Cage nel 1952 anticipa Silvia Lelli, studia il silenzio e nella camera anecoica dell’università di Harward sente due rumori, uno basso, l’apparato cardiocircolatorio, e uno acuto, quello nervoso. Nell’assenza di rumore l’unico segnale di vita arriva dal suo corpo. Silvia Lelli completa Neon collection/ Neon installation attraverso l’azione del fruitore, del pubblico che con Walter Prati è quasi parte integrante dell’opera, osservatore notturno della tridimensionalità della luce. Si ferma a lungo ad osservare e ad osservarsi, quasi a sentirsi, come nella camera anecoica di Cage, battito ritmico e vitale che è l’emergere della luce dai segni dell’inconscio e del profondo. Come si sviluppa il metalinguaggio dalla bidimensionalità alla tridimensionalità della luce?

Silvia mi risponde con garbo squisito: «Il mio fu e rimane un desiderio di uscire dagli schemi della fotografia classica, tramite l’interpretazione e l’idea di trasformazione che mi ha portato ad agire artigianalmente sull’immagine, facendola confluire in un oggetto tridimensionale appunto. Teniamo conto anche che la spinta innovativa del teatro d’ avanguardia era fortissima. Fotografavo in maniera ‘ossessiva’ performance, ma le immagini che realizzavo, pur calzanti ed efficaci, non riuscivano a rendere completamente la mia personale visione del momento. Pensai che attraverso l’applicazione sull’immagine di un “apparato tecnico” luminoso che duplicava il neon fotografato avrei raffigurato il mio scopo trasformando la foto, utilizzando gli stessi segni luminescenti utilizzati dai registi nelle performance degli anni ’70- ’80 e che divennero ben presto quel segno distintivo che mi colpì. Attraverso la luce del neon applicato (unico elemento dell’installazione Neon collection/ Neon installation) volli dar “voce” al mio desiderio di andare oltre la fotografia classica».

Quali sono e perché i performers più amati? «Sicuramente il Carrozzone poi diventato Magazzini Criminali, Bob Wilson, Lucinda Childs, Leo de Berardinis con Perla Peragallo, Pina Bausch, Reinhild- Hoffmann, Mariac Production, ciascuno dei quali tramite variegate esperienze proponeva qualcosa di non prima visto e anche inaudito in molti casi dato che l’aspetto sonoro era fortemente innovativo, basti pensare a Einstein on the Beach di Glass- Wilson, opera visionaria e rivoluzionaria, o a soggetti veramente poliedrici come Meredith Monk. Analizzare di più questi artisti e le loro esperienze sarebbe davvero importante».

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