Si tendono la mano

 Il 21 settembre 1962 un violento terremoto causava morte e distruzione in diversi centri del Beneventano. Riportiamo un brano apparso su Città Nuova n. 19/1962.
Case distrutte nel beneventano

Il 21 settembre 1962 un violento terremoto causava morte e distruzione in diversi centri del Beneventano. Circa 80 mila i senza tetto. Per fortuna a San Giorgio la Molara, antico paese di origine sannita, si registrarono solo ingenti danni ma nessuna vittima. Riportiamo qui un brano del servizio del nostro inviato, apparso su Città Nuova n. 19/1962.
 
Qua e là macerie, case distrutte o pericolanti, sgretolate ma ancora in piedi, perché non hanno avuto nemmeno lo spazio per cadere, tanto sono addossate. Ma, forse più dei danni del terremoto, ci addolora constatare in che misere condizioni è vissuta finora la maggior parte della popolazione: tetri bugigattoli mezzi scavati nel tufo umido, costipata spesso in un vano solo un'intera famiglia, magari con gli animali.
In un'abitazione come tutte le altre troviamo don   Giuseppe, il giovane parroco, «povero coi poveri», come ci dice allegramente. Ma in quella povertà c'è un tocco delicato di armonia che rende tutto accogliente. […] È contento di come le sue “anime” si sono comportate in questa occasione dolorosa. Appena finito il terremoto, prima di sgombrare le macerie, si sono raccolti tutti spontaneamente in processione, per ringraziare sant’Anna, la «Patrona del terremoto», di quella che è apparsa subito una grazia: nessun morto, nessun ferito! E pensare che quando i muri crollavano la gente  era  per le strade, non essendoci campagna intorno; e i soffitti sprofondavano subito dopo che le persone erano uscite di casa. E poi per giorni e giorni c'è stata in ogni quartiere una gara commovente nella raccolta di offerte per far celebrare messe solenni che ancora continuano. Ma il Signore ha ricompensato quella fede eroica e don Giuseppe ci racconta con gioia che dopo pochi giorni dalla prima visita, si è visto arrivare lassù per la seconda volta il suo vescovo, che aveva voluto venire a portargli personalmente una bella notizia: una grande città del Nord, Verona, aveva deciso di gettare un ponte d'amore con uno dei paesi sinistrati, creando in esso qualcosa di utile e di stabile. Avevano già raccolto una quindicina di milioni e una delegazione, un sacerdote ed un assessore, era venuta per decidere col vescovo il da farsi. E così si era stabilito di far arrivare a San Giorgio un “centro sociale”, proprio uno dei sogni di don Giuseppe, perché  qui la gente ha estremo bisogno di essere aiutata in tutte le pratiche, dalle pensioni, al “piano verde” e ora per il rimborso dei danni.

Paolo Claudio

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons