Sì sì, no no. Il verbo di papa Ratzinger

Le letture in chiave politica o esclusivamente sanitaria del dirompente atto di Benedetto XVI oscurano la nota più cristallina e semplice del gesto: il suo carattere evangelico
Papa Benedetto XVI

Un fulmine a ciel sereno, per tanti, non per tutti. I più avvertiti osservatori, ma anche tutti coloro che lo seguivano con amore e attenzione, sapevano che in qualche angolo della mente del papa tedesco sopravviveva la lucida possibilità, già espressa nel libro-intervista con Peter Seewald, delle dimissioni da pontefice, della rinuncia al ministero di vescovo di Roma. Ma il momento scelto (quasi per prendere tutti in contropiede), le modalità della sua comunicazione (quasi in una “normalità” ordinaria) e la distaccata lucidità delle sue parole («nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato») hanno sorpreso tutti, nessuno escluso.

Nel giro di pochi minuti i media del mondo intero, persino in Cina e a Cuba, hanno dato ampio risalto alla notizia, usando tutto il vocabolario immaginabile per dare una chiave di lettura all’evento insospettabile (e cominciando da subito il gioco del toto-papa): c’è chi ha parlato di «irruzione della modernità nella Chiesa» (Mauro), chi di «fine del sacro» (Veneziani), chi di «vera riforma che rivoluziona la Chiesa» (Ferrara), chi di una presunta malattia del pontefice, chi l’ha messa sui sentimenti sottolineando l’umanità del papa. C’è ancora chi ha ventilato documenti-choc che avrebbero spinto il papa alle dimissioni, chi una fatica ormai insopportabile accumulata per le vicende del suo maggiordomo e per quelle delle dimissioni di Gotti Tedeschi, chi ancora la razionale decisione di un intellettuale che con questo suo gesto estremo avrebbe voluto dar corso al rinnovamento necessario nella Chiesa cattolica avviandola sulla via della razionalità. Sarà.

Una sola nota, va detto, accomuna la quasi totalità degli interventi mediatici: il rispetto. Raramente un gesto ha prodotto una tale unanimità nel meritarlo. Direi quasi che si è rivisto il rispetto unanime, o quasi, che aveva accompagnato l’opposta decisione del suo predecessore negli ultimi giorni eroici della sua vita. Parole come quelle formulate di fronte ai cardinali del concistoro – «chiedo perdono per tutti i miei difetti» – non possono che suscitare unanimi sentimenti di vicinanza e di sospensione di ogni giudizio.

Pochi, invece, hanno sottolineato la “dirompente” semplicità del gesto del papa. Una decisione lungamente maturata (conoscendo la sua riflessiva personalità), su questo non ci sono dubbi, in una profonda meditazione sulle pagine di quel Vangelo che Ratzinger aveva sempre considerato come la fonte di ogni ispirazione e di ogni decisione. Perciò ci piace e ci consola pensare una decisione “semplicemente” evangelica, dettata dalla “conformazione” allo spirito del Vangelo di Cristo, al di là di ogni discettazione, delle fatiche, dei dubbi, delle maldicenze.

Mi sembra che, per quanto ci è stato dato in questi intensi anni di conoscere l’uomo e pastore Joseph Ratzinger, questa chiave di lettura sia non la più “angelista”, ma la più “realista”. Papa Ratzinger, costatato l’affievolirsi delle sue forze, sia fisiche che morali, ha voluto trarre la semplice conseguenza di dimettersi per passare a una mano più solida il timone di Pietro. Sì, ci saranno state anche le bordate del Vatileaks, la questione ancora irrisolta degli abusi sessuali sui minori da parte di chierici e pastori, la grave crisi con le comunità musulmane a causa del discorso di Ratisbona, e mille altre ragioni ancora.

Ma nessuna di queste pare sufficiente a spiegare un tale gesto: solo nel Vangelo ci sembra albergare la vera risposta. Nella semplicità della vita e delle parole dell’amatissimo Gesù di Nazareth, alla cui vicenda terrena ha voluto dedicare i tre volumi scritti da studioso-papa. È scritto in Matteo, al versetto 37 del capitolo 5: «Che il vostro parlare sia sì sì, no no». Qui sta forse la ragione prima dell’atto di rinuncia di Joseph Ratzinger che il 19 aprile 2005 era diventato Benedetto XVI e che dal 28 febbraio 2013 – alle ore 20, ha precisato, da perfetto tedesco – tornerà Joseph Ratzinger.

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