Servono interventi immediati per svuotare le prigioni

Intervista a Susanna Marietti dell'associazione Antigone: l'Italia ha un anno di tempo per rendere vivibili le carceri. Occorrono interventi legislativi urgenti e un cambiamento culturale, che dalla politica arrivi alla gente anche attraverso un atteggiamento più responsabile dei mass media

«Potrei dire come il ministro Severino: "sono dispiaciuta ma non sorpresa" per la sentenza della Corte europea che condanna l'Italia per le condizioni disumane delle carceri, ma a dire il vero, non sono dispiaciuta: c'era bisogno di dire ad alta voce ciò che è evidente e sotto gli occhi di tutti. Nelle carceri italiane la pena si sconta con trattamenti disumani e non è una novità, visto che già nel 2009 il nostro Paese era stato condannato per violazione dei diritti umani». Parla Susanna Marietti, del direttivo dell'associazione Antigone, che da anni denuncia il degrado e l'invivibilità delle prigioni italiane. La Corte europea per i diritti umani ha dato ragione a sette detenuti, costringendo lo Stato italiano a risarcirli per le condizioni inumane in cui hanno vissuto. Viste il degrado delle carceri italiane, è facile prevedere che altre sentenze di questo tipo possano susseguirsi, nei prossimi anni. Lo sa bene Antigone, che sta fornendo la propria assistenza ad altri detenuti decisi a chiedere giustizia.

Marietti, oltre a dare ragione ai carcerati, cosa ha detto di nuovo la Corte europea rispetto alla sentenza precedente?
«Oltre al risarcimento economico, che questa volta è più sostanzioso (100 mila euro mentre nel 2009 fu di mille euro), la Corte questa volta ha detto che l'Italia ha un anno di tempo per rispondere in maniera adeguata al sovraffollamento».

Ma un anno sarà sufficiente?
«Un anno lo ha già avuto Berlusconi e non lo ha fatto e un altro anno lo ha avuto anche Monti e nemmeno lui c'è riuscito. Io credo che non dobbiamo prenderci in giro portando avanti il piano carceri, che è difficile da attuare: non si possono creare istituti penitenziari in tempi brevi, ci vogliono molti anni, e lo sanno anche i governi, infatti dal progetto faraonico stilato ai tempi del governo Berlusconi si è poi passati a uno molto più snello che prevedeva soltanto quattro nuove prigioni e padiglioni dimezzati. Il problema, però, è che anche se si riesce a costruire nuove carceri, si troverà ugualmente il modo di riempirle. Io credo, invece, che di detenuti, facendo una proporzione rispetto alla popolazione italiana, ce ne siano già in numero sufficiente. Non si devono incarcerare altre persone, ma trovare un modo per far uscire alcune di quelle che sono dentro».

Quali sono le vostre proposte, in tal senso?
«Deve esserci il coraggio di promuovere un ripensamento generale sul sistema carcerario, che sia contemporaneamente legislativo e culturale. Il carcere deve servire per chi ha commesso crimini gravi, non per chi ha commesso reati più lievi. In Italia ci sono tre leggi in particolare che riempiono le galere e tutte e tre si riferiscono a persone che non si sono macchiate di crimini efferati e sono quelle relative ai reati commessi dagli immigrati, dai tossicodipendenti e alla recidiva, che aumenta le pene e allontana i benefici. In carcere, a ben vedere, sono tantissimi i recidivi: si tratta soprattutto di piccoli criminali che, una volta usciti, non trovando un vero contesto di recupero, tornano a commettere furti o a drogarsi e ritornano in carcere con pene più severe. Bisognerebbe dunque mettere mano a queste tre leggi, nel quadro di una riforma più ampia dell'intero sistema, altrimenti non si avranno risultati validi e i piccoli vantaggi ottenuti dal decreto svuota carceri lo dimostrano».

Ma per fare una riforma occorrono tempi lunghi…
«Infatti ci hanno già provato – l'ultima commissione è stata presieduta da Giuliano Pisapia – ma poi, finite le legislature, i vari progetti sono stati accantonati. In questo modo non si va da nessuna parte».

Quali provvedimenti "urgenti" si potrebbero ipotizzare?
«Si potrebbe lavorare per ridurre i flussi di ingresso nelle carceri, facendo maggiore ricorso alle pene alternative. Per una serie di reati minori, inoltre, si potrebbero abbassare le pene».

Visto che tanti detenuti sono in attesa di primo giudizio potrebbe essere utile anche accelerare i processi?
«Certo, ma questo lo si fa dotando di un adeguato organico la magistratura, prevedendo ritmi di lavoro maggiori. Accanto al cambiamento normativo, serve il cambiamento culturale. Se ci pensiamo, tutte le ultime campagne elettorali – spero non questa in atto – si sono giocate sul binomio "Meno tasse, più sicurezza". E come si garantiva la maggiore sicurezza? Con pene più alte e mandando tutti in galera. In questo modo, però, si peggiora la situazione. Inoltre, molto spesso, si da rilievo a quei detenuti che, usciti di prigione, rifanno i reati, senza parlare di quelli che invece si comportano bene. Questo influenza l'immaginario collettivo e, al momento di decidere, sempre meno giudici concedono le misure alternative al carcere, per evitare polemiche. Per risolvere davvero il problema delle nostre carceri servirebbe un comportamento più equilibrato e corretto anche dei media e un cambiamento culturale, che coinvolga tutti».

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