Segnali dalla muraglia

Articolo

Che il gigante cinese incuta timore, se non proprio paura alle nostre sensibilità occidentali è un dato di fatto. La crescita del 10,5 per cento del Pil del 2006 terrorizza chi cresce a ritmi dell’1 o 2 per cento, ma anche quegli statunitensi che vedono il loro debito estero acquistato sempre più voracemente proprio dai cinesi, che da qualche parte devono pure investire le enormi liquidità a disposizione (177,5 miliardi di dollari nel 2006). Si teme anche l’inquinamento provocato dall’apertura di nuove fabbriche senza i requisiti richiesti dalla comunità internazionale per il controllo degli scarichi liquidi, solidi e gassosi. Senza considerare che il parco-auto cinese aumenterà di quindici volte nei prossimi vent’anni. Non cessano le preoccupazioni per le libertà troppo spesso limitate: a ogni ordinazione di un nuovo vescovo da parte dell’Associazione patriottica senza concertazione con Roma, si levano vibranti proteste contro i rigurgiti di ateismo di Stato, come afferma un alto prelato cinese. Anche l’annoso problema tibetano rimane una spina nel fianco dei governi occidentali che trattano con Pechino. Quali garanzie di autonomia vengono assicurate alle minoranze presenti sul territorio cinese? La libertà di espressione – di artisti, studenti e giornalisti -, è nel frattempo lungi dall’essere garantita, come testimonia il caso di Shi Tao, che si è preso dieci anni di carcere per aver criticato il silenzio stampa sull’anniversario di Tienanmen. E si potrebbe continuare. Tuttavia, nel corso di un lungo viaggio ho intravisto sotto il cielo cinese dei segnali di fumo provenienti dalla Grande Muraglia. Ora bianchi, ora neri. Il 798 I miei amici di Pechino erano stati categorici: Non puoi capire la Cina attuale se non visiti il 798. Accetto a scatola chiusa, ed entriamo così in un vecchio e immenso stabilimento industriale, entrato in crisi per la liberalizzazione voluta da Deng Xiaoping: gli edifici mal si adattano alle nuove produzioni industriali. La municipalità ha quindi deciso di affittare i lotti agli artisti. Oggi il 798 (questo il nome del sito) ospita ancora delle imprese, ma assieme ad atelier ed esposizione d’artisti, luoghi per performance, ristoranti e bar inconsueti ed estrosi. In effetti qui si può intuire dove va la società: i cinesi vanno ormai verso la libertà di espressione, seppur con prudenza e pazienza. Non ci si dovrebbe fermare ai singoli episodi di repressione, per quanto gravi siano. È la figura di Mao Tsedong, in modo tutto particolare, che viene messa alla berlina, come simbolo di un’epoca, come capro espiatorio necessario, come inesauribile fonte di catarsi collettiva. Qua e là si scoprono produzioni di un certo valore: volti iperrealisti che sottolineano la disperazione della gioventù cinese fatta quasi esclusivamente di figli unici; enormi cosce di donna sorrette da minuscoli piedini, uno sberleffo alla tradizione imperiale di costringere i piedi delle donne in minuscole calzature; egotici volti ripetitivi in tele che paiono prigioni… Non è disagio quello che si prova uscendo dal 798. È piuttosto coscienza della fatica necessaria per marciare sulla via di libertà e uguaglianza nell’attuale congiuntura cinese. Certo, fatico ad immaginare l’esercito entrare nel 798 e riportare tutti all’ordine. È troppo tardi per farlo. La moschea di Nanchino Nanchino, la Capitale del Sud, opposta per secoli a quella del Nord, Pechino. Non fu a lungo capitale, a dire il vero, ma come accade in casi simili, i suoi abitanti conservano gelosamente l’orgoglio di un passato fuori dal comune. Giungo nella città una mattina brumosa, ma trovo ben presto altri segnali, impetuosi questa volta, di un’altra crescita cinese, quella edilizia, a dir poco impressionante. La mia guida mi conduce in effetti nei quartieri a ovest della Porta Zhongua, poveri e vecchi, con edifici rigorosamente a un livello. Entriamo nelle botteghe dove si frigge l’anatra laccata, dove si cuociono al vapore i ravioli, in cui si seccano grossi pesci. Le case hanno ampi cortili, attorno alle quali si sono affastellate nei secoli stanze e stanzette, cantine e salotti, in un’irrazionalità assoluta che la gente ha trasformato in prassi abitativa. Crocicchi di anziani si agglutinano dappertutto. I vecchi non scambiano tra loro solo amenità – mi spiega la mia guida – ma soprattutto la loro inquietudine per gli ultimi giorni che trascorrono nelle loro abitazioni. Le loro case sono condannate a morte. Capisco il perché delle affermazioni del vecchio professore: le case vengono demolite, ad una ad una. Una porta apre sulle macerie, tre operai stanno demolendo un tetto, una donna rovista nelle rovine della sua abitazione… Sullo sfondo i grattacieli spuntano come funghi all’orizzonte, guadagnano metro dopo metro nuovi adepti alla religione della produttività. La mia guida risponde al nome di Wu Yi Ye, noto professore di storia Ming e Qing all’Università di Nanchino. Sta viaggiando decorosamente verso l’ottantina sapiente. Conosce ogni angolo della città, ricorda episodi, aneddoti, disgrazie, distruzioni: un patrimonio che rimarrà esclusiva del suo cuore e di coloro che, come lui, avranno la volontà di ricordare. È musulmano,Yi Ye, ed è pure vice presidente della China Islamic Association. E questo mi svela un altro segnale, questa volta riguardante i rapporti tra le religioni. Il professore mi conduce in una delle tre moschea della città, che appare un piccolo complesso di costruzioni a pagoda, in nulla differenziabili da un qualsiasi tempio buddhista, taoista o confuciano, se non fosse per la mezzaluna sul tetto e per il minareto. Armonia tra le religioni, o contrasti sotterranei? Il prof. Yi Ye non ha dubbi La Cina ha la sua propria storia, piena di ideologie e princìpi. Cinque sono le religioni riconosciute: buddhismo, cattolicesimo, protestantesimo, Islam e taoismo. Integrandosi col confucianesimo, si sono cinesizzate, in un processo integrativo ancora in corso. In passato non avevamo nessuna opportunità di comunicare, ma ora il governo cinese ha creato una Conferenza consultiva politica per i cinesi, all’interno della quale i leader delle cinque religioni principali discutono. Si ferma l’anziano professore. Pesa le parole: Penso che il governo e i cinesi – conclude – abbiano capito che le religioni sono fattori di pace e di stabilità. Le credenze religiose sono questioni personali, e perciò il governo non dovrebbe ostacolare la fede e i suoi riti. D’altronde esso permette alle persone di praticare la loro fede finché non escono dalle leggi e hanno come scopo l’armonia della società. Penso che la religione sia alla vigilia di una fioritura impensabile fino a poco tempo fa. Nascente ambientalismo? Due ore di volo, ed ecco la porta alla Cina per gli occidentali: Hong Kong e i suoi grattacieli, la sua frenetica attività, il commercio nel sangue della gente. Solo perché si trova sul mare, la metropoli non soffre di inquinamento come tante altre città cinesi. È qui che incontro un esponente di Greenpeace China, è la prima organizzazione ambientalista cinese. Edward Chan è responsabile della campagna contro i prodotti tossici: sembra che in Cina non gli manchi il lavoro! L’attività di sensibilizzazione e di denuncia sui rischi delle sostanze tossiche – mi spiega – è solo una delle aree sulle quali lavoriamo in Cina, in particolare lo smaltimento dei rifiuti elettronici. Guiyu è il centro principale per lo smaltimento dei rifiuti elettronici, una città che non fa altro… Lì, nella provincia meridionale del Guangdong, da più di dieci anni sono cominciati ad arrivare, per essere riciclati, rifiuti elettronici da Usa, Giappone ed Europa. L’attività viene svolta senza le adeguate competenze e tecnologie per lo smaltimento di rifiuti che contengono grandi quantità di sostanze tossiche e metalli pesanti, come mercurio e piombo. Il risultato è che l’ambiente di Guiyu è inquinato: l’acqua non è più potabile e le coltivazioni agricole sono immangiabili. Senza parlare dell’abnorme concentrazione di piombo nel sangue dei bambini. Questo caso è indicativo di come in alcune zone della Cina, a causa del rapido sviluppo economico e della irresponsabilità di altre parti del mondo, la popolazione stia soffrendo e sacrificandosi, inquinando il proprio ambiente. Nei prossimi dieci vent’anni la sfida ecologica potrebbe diventare estremamente impegnativa. Le statistiche del governo ci dicono che un quarto della popolazione cinese non ha accesso all’acqua potabile e un terzo dei residenti nei centri urbani non ha acceso ad aria pulita. Ma sta nascendo una sensibilità ambientalista? Molti gruppi e associazioni – risponde Edward Chan – stanno spuntando nella società civile. In Cina si sono ormai stabiliti network internazionali come Greenpeace,Wwf e Msf, anche se il governo deve decisamente imparare e migliorare l’approccio e la collaborazione con le Ong e la società civile per aiutare lo sviluppo della Cina. Il rispetto per i lavoratori All’arrivo del traghetto veloce da Hong Kong – un’ora appena di traversata ad alto voltaggio – l’impatto con Macao è deludente, per la vista sbarrata da palazzoni sgraziati come a Pechino, Shanghai e Nanchino. I casinò crescono come funghi con le loro forme pacchiane e le luminarie acchiappafessi: dappertutto si gioca senza sosta (il personale lavora dodici ore al giorno), concedendosi solo di tanto in tanto una boccata d’aria sui lungomari una volta in stile coloniale, ma ora ridotti ad esposizione globalizzata del peggior melting pot edilizio. Anche qui, come in tutte le grandi città cinesi, lasciate le vie scintillanti, si apre la miseria degli abitati di lavoratori sfruttati, concentrati umani la cui densità, per non provocare disastri sociali, ha bisogno di ferrea disciplina e di ferrea autorità. Anche se così si apre lo spazio alle mafie e alle piccole delinquenze che a Macao agiscono alla grande. Il rispetto dei lavoratori non è ancora il forte della Cina. Riprendo la deambulazione nel centro antico. Strano, stranissimo destino, ha questo lembo di Cina meridionale tornato alla madre patria solo nel 1999, dopo 450 anni di protettorato portoghese: spiegare quell’alchimia che permette la convivenza di popoli radicalmente diversi, sancendo nel contempo la loro irriducibile distinzione. La Cina ha al suo interno decine di etnie minoritarie di un certo peso. Tibet e Xinjiang (di cui parleremo prossimamente) sono gli esempi più evidenti di questa presenza non cinese in Cina. Come fanno a convivere etnie tanto diverse? Non è solo la forza del potere a tenerle assieme – mi spiega il guardiano della Cittadella, mezzo cinese mezzo portoghese -. In Cina non è strana la convivenza tra popoli, anche se ciò può sembrare strano. Le minoranze sono uguali di fronte alla legge, e così le religioni. Se si considera la propria fede superiore a quella altrui, il conflitto diventa in effetti inevitabile. Un altro segnale da investigare. Una società civile in crescita Che dire in conclusione? I segnali che provengono dalla Grande Muraglia sono evidenti, contradditori nel loro apparire impetuoso, ma sempre stimolanti. La Cina non è un foglio di carta che possa essere girato in un batter d’occhio, come vorrebbero tanti osservatori occidentali. È un macigno di un miliardo e trecento milioni di persone, un paese unito dal 221 a.C., una nazione dall’incredibile potenza economica e sociale, con 55 etnie diverse, non solo con i maggioritari han. Curiosamente ma non troppo, proprio nel momento del massimo sviluppo economico, cresce la richiesta interna di democrazia e di rispetto dei diritti umani. E ciò avviene non attraverso la politica, ma grazie a quella società civile che cresce impetuosamente, come l’economia cinese. Forse bisogna guardare a questo mondo con più attenzione per capire dove va la Cina. Rispettando i tempi. L’AVVOCATO DI TIENANMEN All’interno della Città proibita, in un piccolo cortile che ospita i suoi uffici, incontro l’avvocato Mo Shaoping. È un uomo coraggioso (due nonni morti durante la Rivoluzione culturale per l’opposizione al regime), ma è anche ben inserito nel sistema giudiziario cinese. È appassionato di Rinascimento italiano: in casa ha una copia di una Madonna del Raffaello. Nella sua carriera Mo Shaoping ha accompagnato la reintroduzione della figura dell’avvocato nel panorama della giustizia cinese, assente fino al 1979. Ho seguito molte cause per i diritti umani – mi spiega -, cause delicate per motivi politici, non solo quelle per i fatti del 4 giugno 1989 a piazza Tiananmen, ma anche le cause di chi vuole fondare nuovi partiti. L’economia sta cambiando la vita del popolo cinese, portando anche a un adeguamento della legislazione… Dopo la Riforma e l’Apertura – riprende l’avvocato -, la legislazione ha avuto un grande sviluppo. In Cina nel 1949 si potevano definire leggi solo la Costituzione e il Codice matrimoniale, applicati fino al 1979, quando la Cina ha cominciato a scrivere i codici penale, processuale, civile e commerciale, con migliaia di leggi, decreti e regolamenti. Si va avanti. La Costituzione cinese in vigore è la quarta. È stata cambiata molte volte. Con l’ultima modifica è stata inserita la norma di rispettare e proteggere i diritti umani. Mo Shaoping non ha dubbi: È un grande passo in avanti. La Cina per lungo tempo non ha nemmeno accettato il concetto di diritti umani, o l’idea di proteggere la proprietà privata, mentre ora ha chiaramente stabilito delle norme al riguardo. Tuttavia da noi tribunali e corte non possono usare la Costituzione per le loro sentenze. In qualche modo si può dire che la Costituzione cinese è dormiente. Questa è una grave mancanza del nostro sistema. Inoltre, nella Costituzione sono presenti norme altrove inesistenti, come il fatto che il Partito comunista è l’unico autorizzato a governare la Cina. Una delle accuse che viene rivolta più di frequente dall’Occidente alla Cina è quella che lo Stato non rispetterebbe i diritti dell’uomo. Il governo cinese – precisa Mo Shaoping – è in una fase di passaggio: dalla negazione all’affermazione dell’esistenza dei diritti umani, in passato considerati un mero prodotto della società capitalistica. E ciò è positivo. Tuttavia il governo cinese ha una propria comprensione di tali diritti. La priorità, ad esempio, viene data al diritto di sussistenza. Lo si capisce: la Cina è un paese con 1 miliardo e 300 milioni di persone! Solo in un secondo tempo si può parlare dello sviluppo dell’uomo: le libertà di opinione, associazione, stampa e religione, anche se presenti nella Costituzione, sono molto limitate nella pratica. La stampa, ad esempio, è ancora sottoposta al Dipartimento di propaganda del Partito. Nemmeno la libertà religiosa, come è noto, viene garantita: In Cina – mi conferma Mo Shaoping – c’è un Ufficio per gli affari religiosi che non esiste negli altri Paesi democratici. Questo sistema prevede che se tu vuoi farti cristiano, puoi solo entrare nella Associazione patriottica, e che se tu vuoi farti musulmano devi seguire gli imam approvati dal governo. Questa è la situazione attuale, non definibile una vera libertà religiosa, come stabilito dalla Costituzione.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons