Se Dio scrive dritto sulle righe storte

Verso i 500 anni da Wittenberg.
Portale della cattedrale di Wittenberg

Il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha celebrato, lo scorso novembre, i cinquant’anni della sua fondazione. Fu allora un gesto profetico, voluto da Giovanni XXIII e affidato alla regia saggia e prudente del cardinal Agostino Bea, il “cardinale dell’unità”, com’egli fu poi a ragione chiamato. Un preannuncio e un auspicio di ciò che ci si poteva aspettare da Dio con la celebrazione del Concilio ecumenico Vaticano II.

Cinquant’anni sono pochi, se si guarda al cammino del dialogo tra le Chiese e Comunità ecclesiali: il reciproco riconoscimento tra i cristiani, in vista di un cammino comune, ci sembra abbia cominciato appena a dare i primi frutti, tanto da farci pensare che quasi tutto resta ancora da fare. Ma, se si guardano le cose da un altro punto di vista, ciò che si è fatto in questi cinquant’anni ci appare in tutta la sua formidabile portata: il panorama e l’atmosfera delle relazioni interecclesiali sono ora tutti diversi da prima.

 

Un anniversario che ci sta davanti e per il quale già si sta lavorando a livello ecumenico costituisce, tra le altre cose, un segnale eloquente della molta acqua passata sotto i ponti in questi decenni. Si tratta, nel 2017, dei cinquecento anni che sono trascorsi dall’evento riconosciuto come emblema dello scoppio della riforma protestante: l’affissione delle 95 tesi di Lutero sul portale della cattedrale di Wittenberg.

Ebbene, se è più che comprensibile che luterani e riformati si apprestino a commemorare tale evento, per nulla scontato è che si appresti a farlo con loro, dal suo punto di vista, anche la Chiesa cattolica. Come invece si ha intenzione di fare. È evidente che il fatto in questione, oggettivamente, è stato la scintilla di un incendio che ha tragicamente infuocato l’Europa cristiana provocando enormi sofferenze, profonde divisioni e gravissime ferite.

 

Eppure, i cinquant’anni del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani danno ragione di una possibilità nuova: tentare di leggere insieme il significato di un evento come quello. Dicendo pane al pane e vino al vino, ma con reciproca apertura, dando il primato alla misericordia, al perdono reciproco, alla grazia di Dio. Non sarà – ci si può chiedere sulla scia di un’intuizione già espressa, con coraggio, da Giovanni Paolo II – che ancora una volta Dio voglia scrivere dritto sulle righe storte?

E cioè darci una lezione positiva, per spingerci a far tesoro oggi di un trauma di ieri così tragico come quello della spaccatura dell’Occidente cristiano. Non scrive forse l’apostolo Paolo, guardando a Gesù, che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rom 5,20)?

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