Se chi ti “ama” ti uccide

Ogni due giorni, in Italia, viene uccisa una donna. Sempre più spesso, chi vibra il colpo mortale diceva di amarla. Per non far finta di niente, nella giornata internazionale contro le violenze sulle donne. Intervista alla giornalista Gabriella Bellini
violenza alle donne monnalisa con occhio nero

Si muore di violenza, nel nostro Paese. E spesso non si muore solo fisicamente, ma psicologicamente. Un giorno dopo l'altro, un'umiliazione dopo l'altra, uno schiaffo dopo l'altro. 

I numeri parlano di migliaia di donne che chiedono aiuto: alle forze dell'ordine, alle amiche, ad associazioni e centri di ascolto. Ma sono molte di più quelle che non parlano, non denunciano, non protestano. A volte hanno il viso pesto, molto più spesso hanno ferite che gli altri non possono vedere. Nascoste dai vestiti, sono frutto di violenze mascherate da falsi sentimenti privi di amore.

 

Ogni due giorni, in Italia, una donna muore. E ad ucciderla è un fidanzato geloso, un marito violento, un pretendente respinto: un vigliacco. Ma le violenze non sono fatte solo di umiliazioni e privazioni, calci e pugni. Ci sono anche le minacce, le intimidazioni, anche nel lavoro. Lo sa bene Gabriella Bellini, giornalista professionista di Somma Vesuviana, nel napoletano. Ha seguito casi di cronaca nera e processi di camorra ottenendo riconoscimenti (come la medaglia del presidente della Repubblica, il premio nazionale giovane cronista per la legalità e il Gallo d'oro per i suoi reportage sulla povertà e l'emarginazione) e minacce, inventandosi un lavoro insieme ad altre donne, perché l'importante, sempre, è andare avanti. RIcominciare sempre.

 

Gabriella, tu hai scritto di Melania Rea e Antonetta Paparo, entrambe originarie di Somma Vesuviana, e di Vincenza Zullo, della vicina Brusciano. Tre giovani donne uccise barbaramente… Avevano qualcosa in comune?

«Tre casi in appena un anno e mezzo, tre storie che avevano, sì, qualcosa in comune: il silenzio. Scavando nelle loro vite, ascoltando parenti e amici, seguendo le indagini effettuate da magistrati e forze dell’ordine mi sono resa conto che in tutti e tre i casi se le donne uccise non si fossero vergognate della violenza psicologica che vivevano, se avessero raccontato tutto a chi gli stava vicino, forse sarebbero ancora vive. Del silenzio si sono fatti forti i loro assassini. Il caso di Melania è quello più noto alle cronache, Antonetta invece è stata uccisa dal marito l’11  novembre scorso. Ancora non è chiaro il movente: lui è arrivato a raccontare che è stata propria la moglie, mamma di un bimbo di 11 anni, a chiedergli di ucciderla, un paradosso. Un paradosso che l’accomuna con Vincenza Zullo, giovane mamma di 33 anni, assassinata il 29 maggio di quest’anno dal marito, una guardia giurata, nel loro appartamento. Anche lui ha dissimulato la realtà, ha raccontato ai carabinieri che lo interrogavano che la donna si era suicidata. Bugie su bugie sconfessate in entrambi i casi dalle prove scientifiche». 

 

Per il tuo impegno e la tua professionalità hai ricevuto numerosi riconoscimenti, ma essere una cronista non è sempre facile. Hai mai subito minacce ed intimidazioni per il tuo lavoro? 

«Sono 18 anni che mi occupo di cronaca nera, giudiziaria e politica nell’aria vesuviana e nolana, territori non facili. Le intimidazioni e le minacce non sono mancate, per questo ho ottenuto i riconoscimenti che citavi. In molti casi le minacce mi sembravano il prezzo da pagare per il lavoro che avevo scelto, in altri invece ho avuto davvero paura. Ho avvisato le forze dell’ordine e non la mia famiglia, perché non volevo che loro si spaventassero. Mi hanno minacciato dei boss, seguito i loro guardaspalle. Quando poi un giovane pregiudicato, cui la camorra ha ucciso madre e padre, cominciò a telefonarmi sul cellulare, in redazione e mi disse che sapeva dove vivevo che lui non aveva più nulla da perdere, che poteva farmi sparire e nessuno mi avrebbe più trovata, ho avuto paura, ma ho continuato a scrivere. Non perché sia più coraggiosa di altri, ma perché mio padre mi ha cresciuta nella correttezza e nell’onestà, nel rispetto per i valori in cui si crede. Lui ha servito lo Stato come maresciallo dei carabinieri ed io ritenevo, e ritengo tutt’ora, che fare la giornalista in una terra difficile come la nostra sia una missione, e la missione più difficile è non farsi corrompere e non arrendersi». 

 

Nonostante le difficoltà, hai deciso di diventare anche imprenditrice di te stessa, lanciando un tuo sito di informazione locale. Quali difficoltà hai incontrato?

«È una delle cose di cui vado più fiera. È un sito, www.laprovinciaonline.info, creato con una cooperativa di donne che è giunto al suo quinto anno di vita. Siamo diventati un riferimento per il territorio e le difficoltà sono state tante. La maggiore è sicuramente quella economica, oggi non è facile trovare investitori. Non solo, i politici cercano una stampa allineata, quando non lo sei, è facile usare come minaccia e ritorsione lo strumento della querela». 

 

Il 25 novembre è la giornata contro le violenze sulle donne. Che ne pensi?

«È importante fare informazione, dire alle donne che non sono sole, che possono denunciare, che non devono vergognarsi e avere paura. Esistono consultori, case famiglia, specialisti e volontari pronti ad aiutarle. Devono farsi forza e chiedere aiuto». 

 

(Nella foto piccola, una delle opere d’arte vincitrici della campagna di comunicazione ‘No violence against women’ 2011, promossa dall’Unric, Centro regionale di informazione delle Nazioni unite) 

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