Scienziati, è tempo di un nuovo giuramento?

Dopo Ippocrate, nella storia sono stati vari i tentativi (falliti) di vincolare anche gli scienziati e gli inventori ad un comportamento eticamente corretto. Lo sviluppo tumultuoso delle tecnologie oggi ripropone con urgenza questa opportunità
Frammento del Giuramento di Ippocrate (papiro di Ossirinco 2547 del III secolo - wikipedia)

Intorno al IV secolo a.C. un certo Ippocrate, nativo di quella che oggi è l’isola greca di Kos, aveva iniziato a girare il Mediterraneo – Egitto, Libia, varie città della Grecia – imparando, insegnando e portando ovunque l’arte medica. A quei tempi la medicina non era soggetta ad alcun vincolo legislativo, il che contribuiva al suo rapido sviluppo, spalancando le porte a ogni tipo di ricerca. Ma era esposta ad abusi e truffe e molti ritenevano che fosse necessaria una riflessione sui doveri morali del medico.

A questo ci pensò proprio Ippocrate, con il suo celebre “giuramento del medico”, che codificava il legame tra arte medica ed etica. Il giuramento è in vigore ancora oggi, sebbene cambiato nella sua formulazione (quella attuale è del 2014). Ovviamente il problema che rimane sempre è: come definire in modo universale l’etica? Sembra un nodo impossibile da risolvere, data la varietà delle posizioni culturali. Ma proprio il tentativo di confrontarsi con questa apparente impossibilità costituisce uno dei compiti più elevati a cui è chiamato l’essere umano.

Un salto di un paio di millenni. Primo Levi è stato un ebreo torinese che come lavoro faceva il chimico in un’industria e come “passatempo” si dedicava alla scrittura. Nel dicembre 1986, Levi, in una intervista al settimanale di cultura e attualità Focus diceva: «È un pezzo che mi gira per la mente una proposta, che probabilmente verrà giudicata molto ingenua. È noto che i medici, fin dai tempi di Ippocrate, posseggono un codice deontologico; già Ippocrate si era accorto che un medico non è soltanto un uomo che sa curare le malattie […] Ora io mi domando se non si potrebbe, anzi se non si dovrebbe, imporre un codice analogo a tutti gli scienziati e possibilmente ai futuri scienziati (per quelli già in carica c’è poco da fare ormai, sono fuori dalla nostra possibilità). Perché non si dovrebbe, o potrebbe, introdurre in tutte le facoltà scientifiche un corso, o almeno una lezione, che vincoli con un giuramento i futuri scienziati a un certo comportamento, cioè a rifiutare di impegnarsi in attività che siano certamente nocive e ad accettare soltanto quelle che sono certamente buone? Prevengo subito un’obiezione: ci sono delle attività che non si sa se siano cattive o buone; questo lo ammetto è una difficoltà…».

Al giornalista che gli ricordava che la scienza è libera, Primo Levi rispondeva: «Io non sono assolutamente d’accordo che uno scienziato sia libero di studiare un gas nervino. La bomba al neutrone è stata certamente commissionata; un politico avrà chiesto a un fisico: sei in grado di farmi una bomba capace di distruggere solo gli esseri umani e di lasciare in piedi gli edifici? E il fisico avrà provato, dopo di che ha detto: sì, sono capace. È chiaro che non si può impedire. Io però vorrei vincolare in qualche modo moralmente il futuro scienziato (come il medico è vincolato) ad astenersi da queste cose». La proposta di Levi rimarrà inascoltata, anche perché lui morirà l’anno seguente, nell’aprile 1987.

La sua voce non era solitaria. Anzi, sembrava essere l’eco di quella che si era alzata diversi anni prima, nel giugno 1967, sempre a Torino. La voce di un valente scienziato, Gustavo Colonnetti, rettore del Politecnico di Torino, poi direttore del CNR e anche membro della Costituente. Colonnetti, quasi vent’anni prima di Levi, aveva organizzato all’Accademia delle Scienze di Torino un “convegno di studio sui problemi della responsabilità dei scienziati e dei tecnici nel mondo moderno”.

Nel discorso di apertura Colonnetti diceva: «I rapidi progressi realizzati in questi ultimi anni nella tecnica della missilistica e della messa in orbita di satelliti artificiali, hanno destato in noi sentimenti che sono ad un tempo di meraviglia, di ammirazione e di timore. Anche di timore perché è evidente che di queste, come di tutte le nuove conquiste della scienza e della tecnica, l’uomo può fare buono o cattivo uso […] Per quanto l’impresa possa sembrare ardua, e per quanto serie possano apparire le difficoltà che ad essa si frapporranno, noi non esitiamo ad invocare dalle vecchie e gloriose Accademie che godono di un indiscusso e meritato prestigio per le loro tradizioni, una parola che impegni i giovani – scienziati ed astronauti di domani – così come il celebre giuramento di Ippocrate ha da duemila anni resi i cultori delle arti mediche coscienti delle loro responsabilità di fronte a chi soffre. Noi chiediamo agli scienziati ed agli astronauti di domani che si considerino come dei messaggeri dell’umanità, impegnati a compiere le loro ardue imprese per il bene dell’umanità tutta quanta, impegnati a rifiutare il loro concorso, la loro partecipazione a qualunque gesto contrario alla solidarietà umana».

Il filosofo Norberto Bobbio, grande amico di Colonnetti, non potendo essere presente a quel convegno, rispose per lettera allo scienziato. Scriveva che concordava con la sua visione, ma sottolineava le sue perplessità su due punti: il primo, che un’iniziativa del genere non poteva limitarsi a un’Accademia delle Scienze, ma doveva essere «larghissimamente condivisa»; il secondo, che se si estendeva troppo il perimetro dell’appello esso avrebbe perso di efficacia perché si sarebbe trovato ad affrontare «problemi morali tremendi che l’umanità non ha ancora risolto». Scriveva Bobbio: «Come pretendiamo che lo scienziato si arresti di fronte alle conseguenze cattive se nessuno di noi è forse ancora in grado di dirgli che cosa sia bene e che cosa sia male in certe materie?».

Il convegno decise che la proposta di Colonnetti richiedeva ulteriori riflessioni. E rimandò a un nuovo appuntamento per l’anno successivo. Purtroppo in quel periodo, nel marzo 1968, Colonnetti morì. E il suo appello sul giuramento cadde nel vuoto. Un destino simile accadrà poi a Levi.

Oggi la situazione è più complessa rispetto a quei tempi. C’è un pullulare di nuove tecnologie, l’avanzare della robotica, dell’ingegneria genetica. Tutte riempiono di “meraviglia” ma anche di “timore”, perché sollevano grandi problemi etici. Che sia giunto il momento di riprendere le fila del discorso del giuramento, prima che una terza guerra mondiale lo seppellisca definitivamente sotto un cumulo di macerie? Io ritengo di sì.

Il giuramento di Ippocrate:

«Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto.

Di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.

Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.

Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.

Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.

E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro.»

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