Schifano l’incontentabile

Sono oltre un centinaio le sue opere, alla Galleria d’arte moderna. Divise per decenni, ripercorrono il suo viaggio verso un dove, sempre cercato. Eppure, non bastano a dire chi sia stato davvero Mario Schifano, nato a Leptis Magna nel 1934 da padre restauratore, autodidatta di genio e poi giramondo insaziabile di emozioni, eventi, incontri. Artista pop, surreale, materico, povero, politico? Le etichette si sprecano: dicono tutto e niente di una mente onnivora che spazia dalla fotografia al video, dal cinema alla televisione… A fine mostra, l’artista a cui più viene naturale assomigliarlo è Leonardo. Qualcuno forse si stupirà. Ma come lui è artistamondo, uomo-cosmo. Irrequieto, metafisico come lui. Certamente, meno forte. Schifano è fragile, teso. Non ha di Leonardo la robustezza rinascimentale. Ed è ciò che lo rende nostro contemporaneo. Già dall’inizio tende all’astrazione, o meglio, alla visione. Nel 1963 quando compone su carta Con anima (Collezione Caracciolo) mostra, a ventinove anni, una natura sintetizzata in marrone e tenui gradazioni del verde a dire l’amore – forte, nei colori smaltati – che prova per essa: sembra un dipinto di un’anima innocente, tanto è delicato. Due anni dopo non ha paura di dichiarare: Io sono infantile, in una tela dove un bambino scende da una scala tra barre nere e rosse. L’artista vero non mantiene infatti spesso un animo infantile? Cioè, capace di meravigliarsi e perciò di creare. Ecco allora lo sfolgorante Interno di casa romana (1968): Schifano unisce architettura, arredamento e pittura in un tutto offerto dal fluire inesauribile di una linea guizzante, fantasiosa. La casa è un microcosmo e Mario lo ama pullulante di colori e di forme accese. Il senso del moto lo accompagna di continuo. Nel ’70 crea Paesaggio Tv in cui lo schermo di un televisore oscilla, apparizione dal buio a portare una luce che rischiara il nero, ma poi lo richiude su sé stesso. Qui la voce dell’artista si fa cupa: Schifano, oltre la suggestione cromatica che rende il quadro affascinante per il gioco dei colori, manda un messaggio: questo strumento, la televisione, può portare luce ma anche la può togliere dal cuore umano. Si avverte una nota di tristezza. Ex film, tela del ’75, approfondisce questo sentimento, mostrando uno schermo che s’ingrigisce, ora che il film – il sogno, l’evasione? – è finito e tutto riprecipita nel buio iniziale. Quanta amarezza, e paura, in fondo all’anima. Schifano reagisce buttandosi in una sfrenatezza della fantasia che corre con una velocità tale da superare il tempo. Passa dall’eleganza dei Ballerini (1982), forme volanti e struggenti, sul rosso vivo, al paradiso floreale di Fiori maschili e fiori femminili, tela colma di amore per la vita, che sembra danzare come uscisse la prima volta dalla creazione. Si slancia ad evocare la magia della musica nel Suono di flauto e boschetto ove il colore compete con la velocità della luce in stilettate bianche e verdi: il pittore viaggia per un cosmo (interiore) dove tutto è veloce e fermo nello stesso attimo. Si concede tuttavia pause riposanti, intimistiche nel Bambino pittore con la bicicletta rossa sopra un filo o l’evocazione del Primo sogno del figlio Marco, per poi riprendere nella gigantesca (circa 400 x 1000 cm) Chimera la corsa verso il fantastico e l’onirico: là dove i sogni diventano visioni, i colori smaltati voci di altri mondi, di sentimenti che hanno superato la barriera della temporalità. Quanto corre, Schifano. A volte appare un missile proiettato a farci vedere cosa c’è nel cosmo: ed il Sussulto del 1986, cratere bianco affacciato al cielo stellato, si nutre della identica commozione dell’Infinito leopardiano; come nel ’97 le Fibre ottiche vedono il mondo come una girandola di fuochi rivolta verso un buio, ora pacato. Sarà l’Assoluto? Forse. Negli anni Novanta, Schifano, nel corso di un viaggio in Eritrea ad una missione di orfani, ritrova il senso della paternità, della maternità, diceva lui. Esegue lavori di Matres matutae, le madri con bimbi dell’arte italica, inventandosi un segno tenue, una sensibilità pudica che corregge la fantasia, la pulisce. Schifano ritrova la tenerezza infantile, che poi esploderà nelle tele di cui si parlava sopra? Resta un mistero. Ma certo, come l’ultimo Leonardo, egli sembra sfuggire a qualsiasi definizione, per entrare in una ombra calda che è, alla fine, semplicemente l’altro volto della luce. Mario Dal Bello Schifano, 1934-1998. Roma, Galleria nazionale d’arte moderna. Fino al 28/9 (cat. Electa). Mario Schifano. Mater matuta. Roma, Shenker Culture Club. Fino al 15/10 (cat. Palombi Editore).

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