Scandalo sangue infetto

L’indennizzo della Corte europea di Strasburgo non è per la malattia contratta o per la morte sopravvenuta, ma per l'eccessiva durata dei processi. La sentenza ha un significato morale e storico importantissimo. Alle vittime 10 milioni
sacche di sangue

Non c'è alcuna vittoria da festeggiare e nessun verdetto per cui essere soddisfatti. Il commento di uno degli avvocati delle vittime di sangue infetto, Mario Melillo del noto studio legale capitolino Lana – Lagostena Bassi non lascia alcun dubbio. «Quello che di fatto ha ratificato la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo – spiega il legale romano, – è solo una condanna che riguarda l'eccessiva lungaggine del procedimento giudiziario in una materia importante afferente la salute delle persone. Non si tratta quindi di un risarcimento dovuto alle infezioni contratte – sottolinea l'avvocato Melillo che precisa: la sentenza quindi non punisce il Governo per non aver vigilato sulla sanità del sangue distribuito nelle strutture pubbliche.

Quello che fa invece è punire lo Stato perché, in processi attinenti aspetti fondamentali della vita della persona, direttamente tutelati dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo, ha trattato le vicende senza un occhio di riguardo». Nessun riconoscimento pertanto della colpevolezza del nostro Stato per l'omissione di vigilanza di sangue, sacche ed emoderivati, risultato infetto che tra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '90 ha provocato il contagio di migliaia di pazienti di malattie come l'Hiv, ed epatite B e C.

Tuttavia la condanna da parte dell'Europa è stata quantificata in termini monetari in 10 milioni di euro che il nostro Paese dovrà comunque risarcire alle vittime. «Si tratta di circa 25 mila euro per ciascun interessato – commenta Melillo – che rappresentano un indennizzo ripeto non per la malattia contratta o per la morte sopravvenuta ma l'eccessiva durata dei processi».

Un principio, quella dell'ingiusta lungaggine processuale, su cui la Corre si era peraltro già espressa nel 2014 per altre vicende e che oggi viene ribadita, al di là della specifica materia sangue infetto.

Di sentenza comunque importante parla un altro legale del Foro di Palermo, da anni impegnato nei processi in questo ambito, il legale Ermanno Zancla: «La sentenza ha un significato morale e storico importantissimo – sottolinea l'avvocato siciliano ‒, anche se non ha ricadute dirette nei confronti di soggetti che non sono parte in causa. Aggiungo inoltre che i 10 milioni sono una piccola somma se confrontati con quella enorme che lo Stato paga, e pagherà, in termini di interessi legali conseguenti ai ritardi, alle spese legali e ai giudizi di ottemperanza di sentenze definitive non pagate e che derivano da strategie processuali suicide mirate spesso solo a rimandare i pagamenti che alla fine sono però inevitabili tutto questo a carico dell'intera collettività».

Anche su un altro fronte, quello relativo al cosiddetto “equo indennizzo” su cui si è pronunciata la Corte, il giudizio è tutt'altro che positivo.

«Il problema – spiega ancora l'avvocato Melillo ricordando brevemente l'annosa questione processuale del sangue infetto – è che nel 2004 fu fatta una transazione che riconosceva un risarcimento di 460mila euro ai malati viventi e 600mila euro agli eredi degli infettati deceduti stabiliti col decreto Balduzzi. Quei 100mila euro (stabiliti dalla procedura prevista dall’art. 27-bis del decreto-legge n. 90/2014 introdotta dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e che riconosce ai soggetti danneggiati, a titolo di equa riparazione, anche a chi verosimilmente perderà i processi civili ancora in corso) rappresenta uno scudo, una discriminazione di trattamento. Ed è proprio contro questo che si era deciso di ricorrere. La sentenza, in definitiva, da una parte non si è pronunciata sulla congruità dei risarcimenti offerti dallo Stato in via transattiva e non ha condannato lo Stato per omessa vigilanza, dall'altra», conclude il legale romano.

«Voglio ricordare al ministro Beatrice Lorenzin ‒ commenta infine Andrea Spinetti, cofondatore e portavoce del Comitato vittime sangue infetto ‒ che il suo decreto non è stato un atto di generosità, ma un atto dovuto alla consapevolezza che prima o poi la Corte di Strasburgo si sarebbe pronunciata. Quindi non si voleva arrivare all'esame senza uno straccio di “compitino in mano”, che a quanto pare ‒ conclude Spinetti ‒ è stato sufficiente a convincere la Corte la quale probabilmente non l’ha però letto quando recita nell'ultimo comma "la procedura terminerà entro dicembre 2017. Salvo però disponibilità di bilancio…».

Tutto questo mentre continuano ancora i decessi dovuti alle infezioni di Hiv, epatite C e B contratte tra la fine degli anni tra la '70 e i primi anni '90 e le cui vittime hanno un'età media di circa 40 anni.

Va ricordato infine che la fase giudiziaria vede impegnate le parti civili su due fronti giudiziari: quella civile con le cause di risarcimento e la transazione e dall'altra il processo penale ancora in corso a Napoli e ha tra gli imputati nomi eccellenti dei dirigenti dell'allora ministero della Sanità.

 

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