Open Arms, Salvini sarà processato

L'Aula del Senato ha autorizzato il processo all'ex ministro Matteo Salvini per la vicenda Open Arms.
Foto Francesco Fotia / LaPresse / pool Agf Senato - Voto su autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini in relazione alla vicenda Open Arms. Nella foto Matteo Salvini.

Matteo Salvini andrà a processo. Il Senato ha votato l’autorizzazione a procedere contro il segretario della Lega che, quando ricopriva la funzione di ministro degli Interni, bloccò in mare la nave Open Arms.

La vicenda risale all’estate 2019: la nave della Ong spagnola rimase per 19 giorni al largo dell’isola di Lampedusa perché l’approdo veniva loro negato. La richiesta era stata avanzata al Senato dal Tribunale dei Ministri di Palermo, che aveva chiesto di poter processare l’ex numero uno del Viminale, ritenendo che avesse «abusato dei suoi poteri, violando le convenzioni internazionali e privando della loro libertà i 174 migranti costretti a bordo».

L’aula di palazzo Madama si è divisa a metà: 149 i favorevoli all’autorizzazione,i contrari erano 141. La proposta era arrivata in aula con il parere negativo della giunta per le autorizzazioni a procedere. Sono stati determinanti i voti dei senatori di Italia Viva.

«Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita – ha commentato Salvini -, perchè ho fatto il mio dovere con determinazione e buonsenso».

La vicenda si muove sulla falsariga delle motivazioni giuridiche e su quella delle prese di posizione politiche. Salvini (e con lui i suoi legali) invoca l’articolo 52 della Costituzione che riguarda «la difesa della Patria» quale «sacro dovere del cittadino». I magistrati che ne hanno chiesto il processo hanno ritenuto che il ministro degli Interni avesse violato gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, quelli riguardanti il dovere degli Stati di soccorrere in mare chi si trova in condizioni di pericolo garantendo l’approdo in un porto sicuro (place of safety). Tra questi non ci sono i porti della Libia, per i quali la comunità internazionale si esprime, in maniera unanime, in maniera molto critica.

«Non mi faccio intimidire e non mi faranno tacere», ha affermato ancora Salvini che, con quella di ieri, incassa la seconda autorizzazione a procedere e dovrà quindi comparire per ben due volte (anche per il caso della nave Gregoretti), davanti ad un tribunale per rispondere del suo operato come ex  ministro degli Interni.

La decisione, come era ovvio attendersi, ha scatenato una ridda di reazioni nel mondo politico. La destra, all’unanimità, ha difeso l’operato di Salvini e parla di ingerenza della magistratura nell’operato e nelle scelte politiche.

E sembra un déjà-vu se consideriamo che l’operato di Salvini, più volte nel mirino della magistratura, giunge, per la terza volta, in Senato. La prima volta fu per il “caso Diciotti”, con la vicenda dei migranti che si trovavano a bordo della nave della Marina militare italiana, che rimasero in mare dal 16 al 25 agosto 2018. Salvini era in carica da pochi mesi. Alla fine venne consentito loro l’approdo. Il caso era ancor più grave poiché i migranti si trovavano già “in territorio italiano” poiché a bordo di una nave della Marina militare italiana. Il 20 marzo dello scorso anno, il Senato negò l’autorizzazione a procedere. In quel momento Salvini era ancora membro del governo. Fu determinante il voto dei senatori 5 Stelle che, dopo una consultazione on line con i propri iscritti sulla piattaforma Rousseau, decisero che l’allora ministro aveva agito «per difendere l’interesse nazionale». Due senatrici dissidenti, che votarono invece a favore dell’autorizzazione  a procedere, furono deferite al collegio dei probiviri.

Andò diversamente per la vicenda della nave Gregoretti: la notte del 25 luglio scorso, il peschereccio italiano Accursio Giarratano soccorse in acque territoriali maltese 50 migranti su un barcone che stava per affondare. I migranti vennero poi trasferiti sulla Gregoretti. Rimasero in mare sei giorni, poi Salvini accettò di farli sbarcare, ottenendo una redistribuzione in altri paesi europei, che avvenne solo a fine 2019.

Per il caso Gregoretti, il 20 febbraio scorso, i 5 Stelle votarono a favore. E l’Aula di Palazzo Madama concesse l’autorizzazione a procedere nonostante il parere negativo del procuratore della Repubblica di Catania, Matteo Zuccaro.

Nel frattempo gli equilibri politici in Italia erano cambiati. I grillini hanno sempre sostenuto di avere agito solo sulla base di motivazioni giuridiche, ma è indubbio che chi osserva la vicenda con lo sguardo disincantato ha quanto meno il sospetto che le mutate alleanze possano aver avuto un ruolo. La vicenda Gregoretti fu uno degli ultimi episodi che si verificarono durante il governo a trazione gialloverde (con Conte premier e Salvini e Di Maio nel ruolo condiviso di vice). Di lì a poco, nei primi giorni di agosto 2019, Salvini staccò la spina.

Il processo a carico di Salvini per il caso Gregoretti avrebbe dovuto aprirsi il 5 luglio, ma è stato rinviato a causa dell’emergenza Covid-19. L’ex ministro, dunque, andrà a processo per ben due volte. E, in caso di condanna, potrebbe pendere su di lui la spada di Damocle della decadenza della carica di senatore, secondo quanto previsto dalla legge Severino del 2012.

I processi che si avvieranno rischiano di rinfocolare un clima politico assai rovente. Anche perché nel frattempo, la vicenda Palamara, con le intercettazioni dell’ex magistrato membro del Csm che lasciano intravvedere la volontà di una persecuzione politica contro Salvini, scatena nuove polemiche. I processi si celebrano nelle aule dei tribunali, sulla base di motivazioni esclusivamente giuridiche. Ma nell’Italia che ha sempre vissuto tra mille incertezze il difficile e controverso rapporto tra politica e magistratura, le vicende giudiziarie si tingono si motivazioni politiche. È sempre accaduto allorché il mondo politico è stato chiamato a rispondere del suo operato non solo in termini discrezionalità politica, ma anche sulla legittimità delle scelte operate. Perché anche gli uomini del governo sono sottoposti alla legge.

È accaduto per lo scandalo Lockeed, nel 1976. Poi vennero Mani Pulite, i processi a carico di Craxi, poi l’eterna querelle giudiziaria di Berlusconi e molti altri. Da almeno 45 anni, il rapporto tra magistratura e politica è legato a doppio filo e numerosi casi si sono succeduti.

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