Salvare Termini Imerese e il lavoro

A fine luglio scade la possibilità di riqualificazione dello stabilimento Fiat. Una proposta dell'Azione Cattolica al sindaco della città per salvare gli operai e le famiglie
Termini Imerese

Le ultime polemiche inopportune sugli operai Fiat di Termini Imerese interessati alla partita della nazionale, piuttosto che ai turni di lavoro, non hanno certo aiutato ad attrarre investimenti  che, invece, considerando anche il Polo energetico siciliano, potrebbero dare un nuovo volto all’intera economia dell’Isola.

Recentemente i lavoratori hanno occupato la sede dell’amministrazione comunale di Termini Imerese ben sapendo, tuttavia, che è altrove che si decide il loro destino.

In questo contesto pieno di tensione, a luglio, l’ultimo incontro regionale del Movimento lavoratori di Azione Cattolica ( Mlac) ha visto l’intervento del sindaco della cittadina siciliana e di alcuni lavoratori della Fiat. Ne parliamo con Antonello Ferrara, responsabile regionale del Mlac.

Da cosa è nato l’invito al sindaco di Termini e agli operai della Fiat ?

«E’ nato dalla volontà di guardare alla vicenda delle Fiat di Termini Imerese non come un problema locale, di un insediamento industriale, di una zona particolare della Sicilia o della singola diocesi di Palermo. E’ nato dalla volontà di provare ad alzare il livello di attenzione, coinvolgendo l’intera comunità siciliana su qualcosa di più grave. Riteniamo, infatti, che le motivazioni esposte dalla Fiat, «in Sicilia non conviene produrre auto», potrebbero comportare dei danni molto seri alla nostra economia. Altri produttori, altre aziende un domani molto prossimo potranno dire che non conviene produrre microprocessori nella Etna Valley di Catania, arance a Lentini, pomodorini a Pachino».

Uno sguardo che va oltre la Fiat, quindi…

L’invito al sindaco di Termini Imerese nasce anche dalla volontà di realizzare una comunione tra gli operai della Fiat e tutti i soggetti che abbiamo già incontrato da due anni a questa parte, come gli operai del consorzio di bonifica, i commercianti in crisi dei centri storici delle città, gli agricoltori delle 750 mila (come riporta la Coldiretti Sicilia) imprese agricole che sono in crisi. Tutto questo in continuità con quanto già facciamo nell’intero territorio nazionale.

Ad esempio?

In Sardegna stiamo seguendo il caso della La Vynils con gli operai che realizzano l’ “Isola dei non famosi” sull’Asinara. In Puglia seguendo le questioni ambientali dell’Ilva di Taranto. In Calabria si sta lavorando di concerto con tutte le aggregazioni laicali “sugli stili di vita”. In Abruzzo aiutiamo concretamente le aziende agricole delle aree terremotate che operano nel Parco, mentre nelle Marche siamo vicini agli operai della Merloni e in Toscana seguiamo il caso Piaggio. Ovviamente in Campania siamo interessati alla vicenda della Fiat di Pomigliano. Seguendo tutte queste realtà siamo sempre più convinti che la gravità della crisi economica spinga verso forme di egoismo originato dalla priorità di avere un posto di lavoro certo e dignitoso. C’è gente con figli e mutui da rispettare, non possiamo giocare con la loro storia. Ma proprio per andare oltre gli egoismi, bisogno fare rete tra la vicenda di Termini e tutte le altre. Dobbiamo entrare in una logica di comunità nazionale, e questo il Mlac lo dice con forza.

Che percorsi si possono aprire per salvare lo stabilimento di Termini Imerese?

«Ascoltando certe affermazioni nei confronti degli operai e le scadenze definite dalla Fiat, lo stabilimento a Termini non va salvato. Non è un caso che nella lettera dell’amministratore delegato della Fiat dello scorso 9 luglio a tutti i dipendenti del gruppo, la questione di Termini Imerese non venga toccata. Se mantiene questo atteggiamento, è meglio che la Fiat se ne vada, assumendosi tuttavia le proprie responsabilità sul futuro dell’insediamento industriale e dei suoi dipendenti. Oggi in lizza ci sarebbero i progetti della DeTomaso automobili, di Mope stampaggioe di Rev, una società che produce veicoli elettrici e batterie ( la lista completa si dovrebbe conoscere a novembre 2010, ndr). Inoltre ci sono proposte, ancora senza un piano industriale ben definito, che prevedono la realizzazione di set cinematografici o di una struttura di gestione e distribuzione floreale. La nostra speranza è quella che queste proposte siano inquadrate in un contesto più ampio di sviluppo regionale. Che non sia l’ennesima cattedrale nel deserto…»

Dalla presentazione dei progetti di recupero alla cessazione dell’attività Fiat nel 2011, cosa occorre in Sicilia?

«Tecnicamente occorre un consiglio di amministrazione di Fiat che dia indicazioni al suo amministratore delegato di cedere gratuitamente gli impianti di Termini a qualsiasi progetto indicato dal governo nazionale. Senza questa disponibilità non ci sarà nessun imprenditore disponibile ad investire nell’area dello stabilimento. Occorre un ministro per lo Sviluppo economico che sia un punto di riferimento per la collettività di Termini Imerese. Occorre un segnale di responsabilità della classe politica siciliana che sia capace di inquadrare gli interventi sulla base di una “idea alta” dello sviluppo della produzione in Sicilia. Auspichiamo su questa emergenza una coesione tra tutte le parti all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana».

È un problema solo del Sud ?

«Si tenta insistentemente di dire che è un problema di una parte del Sud. E invece i vescovi, nel loro recente documento, hanno magistralmente evidenziato la questione: Il Nord senza il Sud non ha futuro. Partendo dal documento della Cei, possiamo trovare la base per il cammino nuovo tra società civile e comunità ecclesiale. Non sarà facile da realizzare, ma sono fiducioso poiché partiamo da un’attenzione antica della Chiesa che dialoga con gli ultimi, con gli operai, con le realtà rurali, sapendo interpretarli e dare segni di speranza.  Gesù ci ha insegnato questo, grandi santi e pontefici lo hanno fatto, e cito, tra tutti, Paolo VI e la sua messa nella notte di Natale del 1968 nell’Italsider di Taranto. Il ruolo del Movimento lavoratori dell’Azione Cattolica si inquadra in questa capacità profetica, di andare nei luoghi della crisi, fare rete tra chi vive questa esperienza, tra le associazioni, le aziende, per sostenere il dialogo, cercando di superare tutti insieme l’egoismo che nasce dalla disperazione e fornire competenze per risolvere i problemi».  

Una prospettiva esigente ma necessaria…  

«Occorre un nuovo miracolo dei pani e dei pesci, occorre che il popolo affamato condivida quel poco che ha nella bisaccia. E’ il più grande miracolo che si poteva realizzare, convertire i cuori alla condivisione nel poco e nella fame. Se questo accadrà in Sicilia e in Italia, domani parleremo di una nuova storia».

 

Ricordiamo che entro la fine di luglio si può ancora mandare una proposta di riqualificazione del sito industriale di Termini Imerese, in Sicilia, che la Fiat ha deciso di chiudere nel 2011. Ogni richiesta va indirizzata alla casella mail termini.imerese@invitalia.it della “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” (Invitalia SpA) che ha ricevuto l’incarico da parte del Ministero per lo Sviluppo economico di valutare i progetti interessati ad un polo industriale esteso su un’area di 432 mila metri quadrati situata, come illustra Invitalia, «al centro del Mar Mediterraneo, sulla costa Nord della Sicilia, a pochi chilometri dal porto commerciale di Termini Imerese e circa 70 chilometri dall’aeroporto di Palermo. Ben servito da infrastrutture logistiche». Una situazione felice che potrebbe attrarre anche parte degli 11 miliardi di euro messi a disposizione per la Sicilia dai fondi strutturali europei da utilizzare entro il 2015. Tuttavia, secondo l’a.d. della Fiat, Sergio Marchionne, nell’intervista a La Stampa dello scorso febbraio, lo stabilimento «non è in grado di stare in piedi. Per assurdo, per noi sarebbe più conveniente continuare a pagare tutti i dipendenti fino alla pensione tenendoli a casa» riconoscendo, tuttavia, che non si tratta di un problema dei lavoratori siciliani e che esiste una «differenza tra il sistema americano e quello europeo: negli Usa l’azienda che taglia non ha una responsabilità civile e collettiva, qui sì». Una nuova storia attende,quindi, di essere scritta qui e ora.. Qualcuno ci sta lavorando.

 

  

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