S..muovi l’Italia

Riuniti a Milano gli operatori della cooperazione internazionale allo sviluppo. Pro e contro dell’evento che rileva criticità e apre prospettive
forum cooperazione

“Muovi l'Italia, cambia il mondo”: ecco il sottotitolo del Forum della Cooperazione, citato innumerevoli volte nelle varie relazioni, e proiettato sullo sfondo del Piccolo Teatro Strehler di Milano. Ma non è che forse si è dimenticata una “s” all’inizio della frase? Ovvero il coraggio e la visione del ministro Riccardi (e dei suoi collaboratori), la fatica ed il confronto di chi ha partecipato ai gruppi preparatori, hanno fatto centro? Oppure per troppa ambizione non si è stati in grado di raggiungere un obiettivo così ardito?
 
È stato comunque un evento, che per la prima volta ha avuto luogo in Italia, vedendo radunati una folta schiera di operatori che nei modi più diversi, e che si confronta con la realtà della Cooperazione allo Sviluppo Internazionale. Difficile esultare, così come non dobbiamo nemmeno abbandonarci ad eccessi di rassegnato pessimismo. Proviamo a ragionare insieme su cosa è avvenuto.
 
I pro
 
In primo luogo l’evento stesso, che (ri)porta la Cooperazione allo Sviluppo al centro dell’agenda politica di questa Italia sprofondata nel pantano della così detta seconda repubblica, è già un avvenimento in sé stesso, e non si può non dare merito al ministro Riccardi per il coraggio e la lungimiranza nel lanciare questa sfida.
 
La presenza di buona parte del governo, il presidente Monti per primo, alla prima sessione del forum, con l’autorevole apertura del Capo dello Stato, non è stata la solita sfilata di politici che cercano solo visibilità e se ne vanno appena possibile. La presenza è stata seria e convinta; il presidente Monti è rimasto fino alla fine della sessione mattutina, e come lui anche gli altri ministri intervenuti nei due giorni del convegno. Certamente un segno di serietà ed interesse.
 
Una partecipazione convinta da parte delle autonomie locali, che con forza e dignità hanno rivendicato un proprio ruolo ed una propria specificità nella cooperazione territoriale, che le vede protagoniste assieme ad altri soggetti sul grande scenario della cooperazione allo sviluppo.
 
La sfacciata arroganza di chi gozzoviglia nel fango di una politica ridotta a favori e privilegi, non può e non deve essere confusa con l'impegno, la dedizione, l'apertura sul territorio e la capacità di dialogo e di azione che tanti enti locali hanno mostrato nel perseguire il bene comune, partendo dal proprio territorio ma proiettandosi verso il mondo, favorendo integrazione e convivenza.
 
Si sono ritrovate insieme diverse generazioni di operatori della cooperazione non governativa; da coloro che, nei decenni passati, per primi e non senza temerarietà, ne avevano fatto una scelta di vita, ai tanti più giovani che oggi vogliono indirizzare la loro professione in questo stesso ambito, con una formazione specializzata ed approfondita.
 
I contro
 
Ciò che più di tutto rattrista è che non si siano volute esplicitare in modo netto le ragioni profonde, le motivazioni e le radici etiche, e perché no anche evangeliche, del “perché” fare cooperazione allo sviluppo. Da numerosi interventi traspariva con chiarezza che la cooperazione serve all'Italia per uscire dalla crisi, serve all'Italia per la sua proiezione internazionale, serve all'Italia per la sua sicurezza esterna, serve all'Italia per offrire opportunità di lavoro ai giovani, «ogni euro investito in cooperazione è un euro che ritorna in Italia», ecc.
 
Ma quel «serve all'Italia» non basta come ragione del fare cooperazione: non possiamo accontentarci, perché non si possono dimenticare gli ideali di giustizia, equità e vera fraternità universale. Siamo idealisti utopici e fuori dal mondo? No, queste sono le motivazioni profonde che determinano la natura dell’agire, la qualità e l'ampiezza degli obiettivi di chi fa cooperazione, la capacità di affrontare avversità e non cedere a compromessi al ribasso, dando contenuto e continuità a veri parternariati.
 
Difficile scacciare l’impressione di trovarsi di fronte ad una cooperazione che rischia di perdere la propria anima più profonda. Inoltre, durante il Forum è stata proclamata con enfasi ricorrente l'ineluttabilità di un sempre maggiore coinvolgimento nella cooperazione, con un ruolo di primo piano, anche delle imprese, che possono (e devono?) diventare protagoniste nei nuovi scenari della cooperazione globalizzata. Ma nessuno si è preso la briga di chiarire su quali principi e su quali priorità una simile partecipazione debba fondarsi.
 
Non si vuole negare la possibilità di un nuovo modello di collaborazione, anzi di parternariato con il mondo delle imprese nelle loro più varie espressioni, ma se non vi è la premessa di un profondo consenso sui principi che devono orientare questo partenariato (bene comune, legalità, equità, partecipazione, sostenibilità sociale, rispetto…), la collaborazione sarà solo un mezzo per il mondo delle Ong di accedere a nuovi finanziamenti per sostenere le proprie strutture e alle imprese di abbellire la loro immagine per finalità promozionali. Senza che si agisca sui principi su cui si regge l’attuale sistema economico, vera causa di squilibrio e ineguaglianza.
 
È stato affermato altresì, da parte del ministro dell’Economia, che ci sarà un’inversione di tendenza sui fondi dell’aiuto pubblico alla sviluppo, ma non sono state fornite cifre. Questa inversione di tendenza risulterà solo uno 0,01 per cento in più oppure qualcosa di più sostanzioso?
 
C’è quindi da ringraziare i promotori di questo primo, piccolo passo, ma c’è anche da augurarsi che non ci si fermi qui (il ministro Riccardi ha lanciato un nuovo appuntamento tra un paio di anni), e che soprattutto i valori di fondo, quelli che danno anima e senso all’agire della cooperazione, non si diluiscano nel perfezionismo tecnico o, peggio ancora, si dissolvano nelle lotte per l’accesso ai fondi, pochi o tanti che siano. Sono richieste coerenza e coraggio. A tutti.

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