Roma apre al nuovo

“Romanza, una favola romana”. Musica di Sergio Rendine, testo di Egale Cerroni. Teatro dell’Opera. Gli angeli sono anche sopra Roma, non solo sulla Berlino di Wenders. Aniel e Jelel, maestro e allievo biancovestiti, volano a confortare gli uomini, a prepararne il passo estremo, nell’estate 1978. Roma è un mondo felliniano tra passato e presente in cui brulica un’umanità bisognosa d’amore. Aniel così si commuove per le sorti della cameriera Maria, per lei rinuncia all’immortalità e alla vita, mentre i giornali annunciano la morte di papa Luciani. Su un testo teatralmente stringato – che raccoglie frammenti di Bibbia, apocrifi e una vaga tinta New Age -, Rendine innesta la sua forte vena melodica, emergente nel mosaico polimorfo di stili e forme (opera buffa, grand-opéra, folk romanesco, musical e rock…) sorretti da un’orchestrazione fantasiosa e da un ritmo pulsante. Musica d’oggi, ma con un occhio alla tradizione: varietà di accenti sul tema di fondo, l’eroicità dell’amore. Un lavoro accattivante, complice la direzione impetuosa di Will Humburg, e le ottime interpretazioni di Amii Stewart (Maria di gran lusso vocale), Vittorio Grigolo (Aniel) e Chester Patton (Jelel) tenore e baritono sgargianti, con una regia equilibrata (Franco Ripa di Meana) fra le scene “surreali” di Gideon Davey e le spumeggianti coreografie di Mark Baldwin. Notevole successo di pubblico per un apologo e una “romanza” d’amore morte speranza. È forse per questo che, allafine, Puccini sembra un lontano “padre” di Rendine? “Powder her Face”. Musica di Thomas Adès, testo di Philip Hensher. Teatro Olimpico, per l’Accademia Filarmonica Romana e la I.U.C. Flasback in una stanza d’albergo di Londra, sulla vita di un’arrampicatrice sociale cinica e narcisistica, un Don Giovanni al femminile, la Duchessa di Argyll. La quale, in due atti e otto scene, contempla la propria ascesa e caduta: senza trovarne una risposta, dopo sessant’anni – dagli anni Trenta ai Novanta – in cui ha usato bellezza e intelligenza, libera da dettami etici e da ogni possibile dubbio. Ritratto livido, sottilmente ironico, di un tipo umano concentrato sull’oggi, il lavoro di Adés (classe 1971), datato 1995 e qui in prima nazionale, è un conversation- piece fremente di pungolature cromatiche, invenzioni strumentali ed innumerevoli trasformazioni vocali, con incursioni del suono nel rumore che danno piglio e vitalità. Ardé dentro ad un caleidoscopio di linguaggi apre a nuove vie, ma resta “minimalistico” nel pensiero e nella poesia. Per la Duchessa non c’è giudizio di sorta: ognuno è solo nella ragnatela dell’individualismo. Visione amara di un giovane autore: perché non musicare testi più positivi? Eccellente l’esecuzione dei diciassette strumentisti dell’Accademia, ben guidati da Nicholas Carty, e dei solisti (Teresa Ringholz, Piia Komsi, Mark Beudert, Steven Gallop) impegnati in ardue tessiture. Leggera la regia di Pamela Hunter (a parte le solite cadute di stile), e quasi “magrittiane” le scene e i costumi di Andreas Becke. Buon successo di pubblico per un lavoro promettente. Orchestra sinfonica giovanile di Roma È nata una stella nel cielo grigio della musica italiana? Ascoltando i 65 giovani, scelti e ben diretti da quel maestro preparato che è Francesco La Vecchia, diremmo proprio di sì. Coraggiosamente, hanno esordito con un capolavoro immenso, La creazione di Haydn (1799). Un meraviglioso commento musicale alla bontà del creato e alla felicità cui è destinato l’uomo. L’orchestra, dopo una comprensibile perplessità iniziale, ha dato colore agli squarci sinfonici della partitura, così ricchi di intuizioni timbriche e amalgamati con il canto. Crescerà certo nella personalità del suono, ma il fatto che, appena concluso l'”oratorio”, si sia subito sentito il desiderio di riascoltarlo, depone a favore di un’interpretazione di livello. La stagione, sempre al Teatro Argentina, continuerà ogni domenica alle 11,30 sino a giugno, favorendo autori come Mozart, Brahms e Beethoven.

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