Rischiare per la pace (Evangelii gaudium 255-258)

Aprire la Chiesa all’amore verso l’umanità intera, in un pluralismo “sano”, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperta a comprendere quella dell’altro
pace

Chi si attendesse nella Evangelii gaudium, sotto il titolo “Dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa”, un classico trattato sulla libertà religiosa, ne rimarrebbe deluso. L’approccio di Francesco non è rivolto a difendere la Chiesa, ma ad aprirla all’amore verso l’umanità intera. A me ha richiamato immediatamente un fatto del 2002, negli anni del mio impegno politico a Trento. Eravamo in fase di revisione di un documento per un’assemblea europea di sindaci, che intendeva rimettere le città al centro del rinnovamento della politica, di un nuovo umanesimo e della costruzione dell’unità europea.

Un membro del comitato scientifico era uno dei più affermati docenti di Giurisprudenza. Vi era questo passaggio nel testo: «Le città contengono cattedrali e sinagoghe e moschee e templi. In esse le appartenenze possono essere coltivate senza chiudersi l’una dall’altra e l’una contro l’altra». Il professore mi fermò dopo la parola “templi” e aggiunse: «E luoghi di pensiero». Fu per me una lezione perché, fino ad allora, non ero consapevole della profonda motivazione del suo impegno a favore della città e di quanto essa ci unisse.

L’ho ricompreso molto meglio oggi, dalle parole di Francesco: «Ci sentiamo molto vicini a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza». E sono stata ulteriormente stupita dalla visione di Bergoglio di un pluralismo “sano”, «con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti “a comprendere quelle dell’altro”», capace di rispettare persone e “valori come tali”, anzi utile a non emarginare le religioni nei luoghi di culto, ma a renderle incisive nella vita pubblica. Anche i moniti che rivolge a possibili discriminazioni religiose non è difesa, ma ricerca di convivenza e della pace.

Ho sperimentato nella mia attività politica – ma è facile da osservare – che, laddove istituzioni e società collaborano, laddove vi è una trasparente conduzione della comunità politica, l’effetto non è una rivendicazione di spazi o d’irrinunciabili principi religiosi e neppure una negazione degli stessi, quanto piuttosto fiducia, rispetto reciproco, apertura ai valori spirituali e l’unirsi delle forze verso obiettivi comuni.

Che un papa riconosca tale impostazione come «via di pace per il nostro mondo ferito», a me pare abbia un peso pari all’enorme sfida che la globalizzazione pone, con le migrazioni, il multiculturalismo, le disuguaglianze, le tante violenze ancora in atto. Non sono, infatti, solo gli esperti di politica internazionale ad ammonirci sul fatto che la pace potrà essere perseguita solo coinvolgendo le fedi. Essa è già esperienza quotidiana nelle metropoli e col vicino della porta accanto.

Francesco ha compreso e ci fa comprendere che i cristiani non possono chiudersi tra loro, ma devono donarsi. Che la via maestra è il dialogo. Che vi è una dimensione sociale del Vangelo che può costituire, per cristiani e non cristiani, una speranza, ma, di più, la possibilità concreta di migliorare il futuro.

Per chi è chiamato – sul piano locale e mondiale – ad affrontare le sfide inedite di questo secolo, la visione di Bergoglio è un fondamentale incoraggiamento a guardare oltre, a rischiare di più per i poveri e per la pace, a costruire nuove culture politiche senza più nostalgie del passato. Forse scopriremo presto che è questa l’influenza politica che il Time, dichiarandolo personaggio dell’anno, assegna a questo Papa.

Letizia De Torre

già deputato, presidente inernazionale del Movimento politico per l’unità

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