Rifugiati del giorno dopo

Finite le celebrazioni e le visite ufficiali permangono i problemi, mentre l'Italia prolunga fino a 18 mesi la permanenza nei Cie
Commissario Onu rifugiati

Spenti i riflettori su Lampedusa e sulla visita lampo di Angelina Jolie e dell’Alto Commissiario dell’Onu Antonio Guterres, chiusi i festeggiamenti per la giornata mondiale del rifugiato, sul tappeto restano i numeri del rapporto annuale ‘Global Trends 2010’ dell’UNHCR (Agenzia Onu per i rifugiati): cifre che portano con sè milioni di vite e di storie di scampati a guerre ed atrocità. Secondo il rapporto, presentato ieri a Roma, dei 43,7 milioni di persone, fuggite a causa dei conflitti 15,4 milioni sono rifugiati, 27,5 milioni sono sfollati interni e circa 850 mila sono i richiedenti asilo.

 

A questo proposito  l’UNHCR  definisce “angosciante” il dato delle 15.500 domande di asilo presentato da minori non accompagnati o separati, gran parte dei quali somali o afgani. Altra nota che fa riflette è che circa quattro quinti delle persone in fuga ricevono accoglienza dai paesi in via di sviluppo, proprio mentre si registra una crescente ostilità nei confronti di rifugiati, in molti paesi industrializzati. Antonio Guterres, Alto Commissario per i rifugiati dell’ONU proprio ieri si è rivolto ai Paesi ricchi, chiedendo di aiutare il Sud del mondo in quest’azione d’accoglienza: “il contributo maggiore che uno Stato può fornire è mantenere aperte le frontiere a tutti coloro che hanno bisogno di protezione” ha ribadito. E ha proseguito a mo’ di slogan: «Un solo rifugiato senza speranza è troppo. Un solo rifugiato che annega è troppo».  L’Alto commissario ha espresso forte contrarietà a qualsiasi forma di respingimento, riferendosi ai rimpatri in Libia e ha tirato dalla sua parte ancora una volta i numeri del Rapporto.

 

In Italia i rifugiati sono 56.397, gli apolidi 854,  mentre i richiedenti asilo si attestano ad appena 4076: “ cifre contenute, in termini sia assoluti che relativi, rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea”, meno di uno ogni mille abitanti, appena il 2 per cento degli sfollati arrivati in Egitto e Tunisia a seguito del conflitto libico.  Nell’ultimo anno i richiedenti asilo nel nostro Paese sono stati soprattutto nigeriani (1358), Pakistani (930) e afghani (875). Negli ultimi due anni, sottolinea l’UNHCR “le politiche restrittive attuate nel canale di Sicilia da Italia e Libia hanno drasticamente ridotto il flusso di rifugiati e richiedenti asilo in arrivo sulle nostre coste”. Certo non sono state queste le cifre che il ministro degli Interni ha dettato a Pontida, indicando nel termine della missione italiana in Libia, un fattore determinante per far cessare gli sbarchi. Anche noi ci permettiamo l’abuso di slogan: «Proteggiamo le coste e lasciamo morire chi vuole sfuggire ad un conflitto».

 

Il presidente della Repubblica Napolitano, intervenendo ieri alla celebrazione ufficiale della giornata ha ribadito con lucido realismo che «si deve prendere più largamente coscienza della persistenza, della possibile ulteriore estensione del flusso dei rifugiati, della dimensione mondiale del fenomeno e della responsabilità cui nessun paese civile può sottrarsi». «Non è immaginabile che ci si possa adagiare o attardare in egoistiche chiusure nazionali; – ha ribadito Napolitano – e che ci si possa illudere di esorcizzare così la realtà che preme alle nostre porte, la pressione che si trasmette da un continente all’altro per effetto dell’aspirazione alla pace e alla vita che muove tanti diseredati».

 

Intanto da una settimana un decreto urgente del Consiglio dei ministri ha stabilito che la permanenza nei Cie (Centri di identificazione e espulsione) verrà prolungata da sei a 18 mesi con il ripristino della procedura di espulsione coattiva immediata per chi tenta di allontanarsi, mentre per chi, irregolare, non venga ritenuto pericoloso, si prevede la consegna del passaporto, obbligo di dimora e obbligo di presentazione presso gli uffici della Forza pubblica. La bozza di questa proposta sta sul sito del Consiglio dei ministri, ma non si vede traccia invece di una legge sul diritto d’asilo, di cui l’Italia è sprovvista come denunciato dal Rapporto dell’ UNHCR.

 

A Lampedusa, il giorno dopo, riprende la normalità, tra pesca e crisi: hotel e appartamenti vuoti, pochi turisti – appena dieci lo scorso week-end -, albergatori sul piede di guerra. Ieri sera una sparuta folla ha riempito l’unica piazza dell’isola per il comizio del sindaco, dove si riferiva del suo incontro a Roma con le cariche istituzionali e con una commissione tecnica presieduta dal presidente Berlusconi. Mentre Bernardino De Rubeis illustrava i progetti di riqualificazione della rete idrica, gli investimenti sulle energie alternative, il piano di trasporto pubblico e le misure per la ristrutturazione degli edifici e le migliorie paesaggistiche, i lampedusani mormoravano, tra disincanto e voglia di crederci: «A ma vidiri – Dobbiamo vedere se tutto questo si avvererà». Di proclami e celebrazioni sono tutti stanchi. Come si potrà affrontare l’inverno se i conti resteranno in rosso per ciascuna famiglia? A chi dovranno chiedere rifugio per avere reale soccorso?

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