Renzi e Juncker: una tempesta in un bicchier d’acqua?

Se si attacca l’Europa occorrono buone ragioni e forza negoziale. Altrimenti si rischia l’isolamento, come sta succedendo al premier britannico Cameron. La lettera sui conti pubblici ricevuta da Padoan e che ha fatto scattare lamentele, fa parte della prassi e delle regole dei Paesi che hanno aderito all'Unione
Jean-Claude Juncker presidente commissione europea

I media italiani hanno dato ampio risalto al contrasto tra il presidente del Consiglio Renzi ed il presidente della Commissione Europea Juncker. In realtà le fonti di informazione che si occupano di Unione europea, quasi non ne hanno parlato. Si tratta, in primo luogo, di frizioni che fanno parte della dinamica istituzionale (il Consiglio, con gli Sttai membri, di cui l’Italia assume la presidenza fino a fine anno, da un lato, e la Commissione, che assicura l’interesse generale, dall’alto). In secondo luogo, va tenuto conto del carattere dei due protagonisti, che non le mandano certo a dire.

Nella fattispecie, Renzi si è lamentato, nella conferenza stampa che ha fatto seguito al Consiglio Europeo (la riunione dei capi di Stato e di governo) del 23 e 34 ottobre, del modo in cui la Commissione lo stava trattando, eccessivamente burocratico a suo parere. Il 4 novembre, ha twittato che, dall’Europa, pretende il rispetto che l’Italia e la sua storia meritano.

Renzi si riferisce alla lettera che la Commissione (ancora sotto la direzione di Barroso) ha inviato al ministro Padoan il 22 ottobre, chiedendo spiegazioni sulla deviazione, nei conti per il 2015, dagli obblighi di bilancio che l’Italia ha assunto firmando il Patto di Stabilità nel 1997. In particolare – la lettera non lo dice, ma l’hanno ampiamente commentato I quotidiani italiani a fine ottobre, la manovra della legge di stabilità è sì a carattere espansivo, ma largamente in deficit (di circa 11 miliardi, soldi che il Governo intende usare per dare impulso alla crescita nei prossimi mesi, ma che rimarranno durevolmente sulle spalle delle generazioni future). Il fatto che La Commissione passi al vaglio i conti pubblici degli stati della zona euro fa parte del pacchetto di regole approvate negli ultimi anni per assicurare una maggiore coordinazione nelle politiche di bilancio tra questi stati, ed il fatto che alcuni di essi ricevano lettere invitandoli a fornire chiarimenti è una procedura di routine (la Commissione li ha richiesti a cinque stati dopo aver ricevuto, il 15 ottobre, I progetti di bilancio per il 2015).

Lo scrutinio da parte della Commissione porterà ad una correzione, marginale, dei conti pubblici italiani. È chiaro che a Renzi non piace essere sotto esame, né in Italia, né in Europa, e se l’è presa.

A ragione? Secondo noi no. La Commissione non fa che applicare le regole che gli stessi stati membri si sono dati (certo prima che Renzi diventasse presidente del Consiglio). E lo fa non in modo burocratico, ma nel quadro di un dialogo politico – come Juncker ha sottolineato nella prima conferenza stampa da presidente della Commissione il 5 novembre, ricordando che l’istituzione che presiedé è un organo politico e non un “branco di burocrati”, e che se un capo di governo ha qualcosa da dire lo dica alla riunione con i suoi pari e non di fronte alla stampa. In questo dialogo politico (e anche tecnico, perché alla fine si tratterà di decidere sulle cifre, ma la decisione – con i necessari compromessi – si prenderà al più alto livello politico), le scaramucce ci possono anche stare. Basta non esagerare, perché il rischio è serio di trovarsi isolati. Dall’isolamento all’essere irrilevanti nelle decisioni che contano il passo è breve, come ben sa il premier britannico Cameron, che ha perso la battaglia per bloccare la nomina di Juncker in estate e si è trovato solo nel partire lancia in resta contro gli aggiustamenti ai contributi nazionali al bilancio comune europeo, legati al ricalcolo del prodotto interno lordo degli stati membri negli ultimi dieci-quindici anni, e che ha penalizzato altri paesi come l’Italia oltre che il Regno Unito.

Giustamente Jucker, al pari di Renzi, ha chiesto rispetto da parte degli stati verso le istituzioni europee. Francamente, non ci pare che in alcun momento questo rispetto sia venuto meno né da una parte né dall’altra. La Commissione di Juncker fa il suo lavoro, Renzi pure. Magari da un presidente del Consiglio dei ministri Ue in carica, durante il semestre italiano, ci sarebbe potuta aspettare un po’ più di retenue, come dicono i nostri amici francesi. Ma ognuno ha il carattere che ha. Semplicemente, in Europa, che è il regno del compromesso e della diversità culturale, certi sbalzi d’umore rischiano di non essere capiti. E di non essere utili, né a breve termine per avere il disco verde sui conti pubblici italiani né, in prospettiva, per i futuri immancabili negoziati e compromessi, in cui la credibilità e la fiducia continueranno essere ingredienti indispensabili.

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