Referendum, preziosa opportunità

12 e 13 giugno. Quattro o tre schede (Cassazione permettendo sul nucleare) su quesiti importanti di cui avere maggiore consapevolezza.
referendum

Nobile quanto complicato. Sono le caratteristiche salienti del referendum. E non fa eccezione l’imminente appuntamento di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Rientra nella norma anche il fatto che sarà data ai relativi risultati una forte interpretazione politica. A maggior ragione in questa occasione, perché fa seguito alle elezioni amministrative di metà maggio.

Agli elettori già coinvolti (quasi 13 milioni) spetterà il compito tutt’altro che scontato di dar prova di senso civico, tornando al seggio per esprimere il proprio pensiero.

 

Per la verità, decidere di andare a votare per il referendum è già una scelta di assoluta valenza politica, perché – diversamente dalle normali consultazioni, in cui il risultato non è in discussione qualsiasi sia il livello di partecipazione – è necessario il quorum di validità, ovvero la consultazione non è valida se non si è espresso il 50 per cento più uno degli elettori.

Sulla mancata partecipazione degli elettori e sull’invito più o meno esplicito alla diserzione fa perciò leva chi non intende modificare o sopprimere la legge in questione. Ricorderete come è passato addirittura in proverbio il consiglio di Bettino Craxi agli italiani ad andare al mare, rivelatosi fallace. Mentre più recentemente, in tema di fecondazione medicalmente assistita, l’indicazione del card. Ruini al mondo cattolico di non esercitare il pur sacrosanto diritto di voto fu determinante.

 

La Costituzione prevede due tipi di referendum nazionali: quello confermativo, che può riguardare le leggi costituzionali approvate dal Parlamento solo a maggioranza assoluta (e non dei due terzi); e quello di natura abrogativa, provvedendo perciò a cancellare in parte o in tutto il testo di una norma vigente. L’elettore è perciò interpellato sempre con un quesito: «Volete che sia abrogata… », da cui deriva un aspetto che suona paradossale, cioè che occorre rispondere con un “sì” se non piace la legge oggetto di verifica. Un particolare che crea problemi ai potenziali votanti, perché “sì” sta per “no” alla norma, e “no” significa “sì” al suo mantenimento.

Resta uno strumento complesso da mettere a punto per tutte le verifiche richieste (compresa la raccolta di 500 mila firme). Peccato che se ne parli poco! Questa volta c’è chi accusa addirittura di una «consegna del silenzio», perché anche il servizio pubblico radiotelevisivo ne ha sinora riferito pochissimo.

 

E se poco se ne parla, il rischio evidente è un mancato interessamento e coinvolgimento dei votanti. Per di più, con il decreto legge n. 34 del 31 marzo scorso il governo ha abrogato proprio le norme che riguardano il tema più sentito: il programma di costruzione di centrali nucleari. Immediato lo scoppio di polemiche, accentuate dalla dichiarazione del presidente Berlusconi, che aveva confessato: «Se fossimo andati oggi a quel referendum, il nucleare non sarebbe stato possibile per molti anni a venire», chiarendo che il voto popolare sarebbe stato condizionato dalle vicende della centrale giapponese di Fukushima, ma rivelando pure le reali intenzioni: si tratta di un rinvio, non di una cancellazione del progetto.

Non sappiamo perciò, al momento, se voteremo il referendum sul nucleare. La Corte di cassazione darà responso entro i primi di giugno, cioè a ridosso della consultazione.

 

Le conseguenze sono rilevanti. Sino all’ultimo non sapremo se gli italiani potranno esprimersi sul quesito più sentito e coinvolgente, con il rischio di un blandissimo interessamento anche sul tema dell’acqua – come viene spiegato a parte – e su quello del cosiddetto “legittimo impedimento”, che intende abrogare l’intero testo di legge che regola la partecipazione alle udienze in tribunale delle più alte cariche dello Stato.

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