Reddito di cittadinanza. Urgenza sociale e investimenti possibili

Per giugno arriverà la proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri, mentre cresce il dibattito tra le diverse prospettive che arrivano dal mondo associativo. Intervista a Lorenzo Lusignoli, referente tecnico della Cisl nell’Alleanza contro la povertà in Italia
forum povertà e politica

Il nuovo presidente dell’INPS, Tito Boeri, continua ad annunciare che per il prossimo mese di giugno sarà definita tecnicamente la proposta del reddito minimo da assicurare a chi, superati i 55 anni di età, è rimasto senza alcuna fonte di reddito. Si tratta di una fascia di popolazione che molto difficilmente può reinserirsi al lavoro e comunque, tagliando corto su vaie obiezioni, ha confermato che si tratterà di un importo così basso che non potrà costituire un disincentivo alla ricerca di occupazione.

L’insistenza della proposta rende evidente la presenza di una piaga non più nascondibile. Anche il dibattito sulla destinazione del presunto “tesoretto” ricavabile dai conti dello Stato con la legge di stabilità ha preso di petto questa emergenza con pareri discordi. L’economista Marco Di Marco, esperto di welfare per l’Istat, ci ha detto, precisando di parlare a titolo personale come studioso, di preferire la proposta strutturale del reddito di dignità di Libera piuttosto che il Reddito di inclusione sociale (Reis) proposto dall’Alleanza contro la povertà in Italia guidata da Acli e Caritas. Continuiamo il dibattitodel forum contro la povertà promosso da Città Nuova, ascoltando il parere di Lorenzo Lusignoli, referente tecnico per la Cisl nell'Alleanza contro la povertà in Italia.

Come risponde alla critica rivolta alla proposta del Reis di adottare una politica a posterior, cioè che interverrebbe quando la povertà si è già cronicizzata?
«Il Reddito d’Inclusione Sociale è uno strumento destinato alle famiglie che si trovano in povertà assoluta, o per ragioni croniche oppure perché hanno perso di recente il lavoro, magari a causa della perdurante crisi economica. Accanto al sostegno economico, commisurato con l’ampiezza della famiglia, prevede un percorso di reinserimento socio-lavorativo per i beneficiari gestito dai Comuni. L’intervento ex-post sulla condizione di povertà lo rende assimilabile per “i nuovi poveri” ad un ammortizzatore sociale, con i relativi vantaggi e svantaggi di un simile strumento (vi sono infatti alcuni punti di contatto con il recente Asdi, sebbene le platee di riferimento differiscano sostanzialmente). Uno dei vantaggi è quello di avere un costo che varia a seconda della congiuntura economica: in una situazione di decrescita la platea degli aventi diritto aumenta e dunque aumentano le risorse da destinare al Reis, che invece si riducono in periodi di crescita economica. Anche gli effetti keynesiani sulla domanda aggregata variano di conseguenza attraverso l’impulso dato dalla traduzione in consumi della gran parte dei sostegni economici elargiti, considerata la situazione di bisogno nella quale versano le famiglie beneficiarie. Ma ovviamente il Reis sostiene anche le famiglie che si trovano in una situazione di “povertà cronica”, permettendo loro di uscire dalla condizione di indigenza e facilitando un reinserimento sociale che ne ostacoli una ricaduta nella situazione precedente».

Quindi come si può leggere e definire la proposta del Reis?
«Si tratta di una misura che non previene la povertà, ma ne cura i sintomi, sebbene sostenendo i consumi determini positive ricadute sull’andamento dell’economia e dunque indirettamente sulla povertà, con un costo assai contenuto rispetto ad altre proposte di reddito minimo in campo e largamente inferiore ad un reddito di cittadinanza. Al limite in un contesto ideale e del tutto ipotetico nel quale non risultassero persone in povertà assoluta il Reis non avrebbe destinatari e dunque non comporterebbe costi per il Bilancio dello Stato. Se il sistema di prova dei mezzi necessario per stabilire i beneficiari del Reis risultasse tempestivo e funzionale, non vi dovrebbe essere ragione per temere un impoverimento delle capacità relazionali e dell’istruzione poiché si tratterebbe di fenomeni momentanei o comunque ridotti nel tempo».

Non è più efficace la proposta del reddito di dignità o di cittadinanza che è di carattere preventivo e cioè eroga soldi prima che si scenda al di sotto della linea di povertà grave?
«Il Reddito di cittadinanza comporta l’elargizione di un reddito base a tutti i cittadini a prescindere dalla loro condizione economica. Ha il significativo vantaggio d’impedire ex-ante la caduta in situazione di povertà e di non richiedere la prova dei mezzi e tuttavia presenta il grande svantaggio di avere un costo oggi proibitivo per la nostra finanza pubblica, peraltro permanente e sostanzialmente indipendente all’andamento dell’economia.

O meglio, per adottare un simile sistema occorrerebbe riformare profondamente il fisco aumentando considerevolmente la progressività e rafforzando le imposte sul patrimonio, in modo da riequilibrare con una maggiore tassazione i benefici concessi alle famiglie più abbienti e poter ragionevolmente finanziare in maniera strutturale un sussidio così diffuso. Si tratta di una trasformazione del sistema fiscale che seguirebbe una direzione opposta a quella da noi (e dalla maggior parte dei Paesi europei) perseguita negli ultimi anni e che richiederebbe, per essere funzionale, una riduzione drastica dell’evasione fiscale, difficilmente ottenibile nel breve periodo anche qualora vi fossero significativi interventi allo scopo. Per gli ingenti costi che determinerebbe, il Reddito di cittadinanza non è oggi proposto in Italia neppure dal Movimento 5 stelle, che pure ne fa una bandiera».

E che tipo di proposta reale è, secondo la vostra analisi, quella del M5S che riprende la tesi della Campagna Miseria Ladra? 
«La proposta di legge omonima depositata in Parlamento in realtà configura piuttosto un reddito minimo d’inserimento che, a differenza del Reis, interessa tutte le famiglie che si trovano in condizione di povertà relativa, dunque una platea sensibilmente più ampia. Per tale ragione, oltre che per l’importo superiore concesso, il costo di questo strumento per il bilancio dello Stato è quantificato pari a più del doppio di quello del Reis. Anche in questo caso il sistema è legato alla prova dei mezzi, giacché il sussidio non viene elargito a coloro che si trovano al di sopra della soglia di povertà relativa. Dunque si agisce ex-post e non ex-ante rispetto ad una verificata condizione di povertà dei beneficiari ed anche in questo caso non si “cura” la povertà prima che si manifesti».

Possono esistere punti di contatto tra Reddito di inclusione sociale e questa proposta di reddito di cittadinanza?
«Il Reis ed il cosiddetto Reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle non sono quindi due proposte in antitesi, piuttosto vanno nella medesima direzione con costi e platee più o meno contenuti; anche se nel recente dibattito teorico risulta ormai assodato che per effettuare un’efficace lotta alla povertà sia meglio guardare alla povertà assoluta piuttosto che a quella relativa, poiché quest’ultima, per come è costruito l’indice, non mostrerebbe adeguatamente le variazioni del fenomeno ad esempio in un periodo di crisi quale quello attuale. Le due proposte differiscono tuttavia per altri importanti elementi: Il Reis prevede che il percorso di reinserimento socio-lavorativo sia gestito dai Comuni eventualmente in collaborazione con i centri per l’Impiego mentre nella proposta dei 5 stelle i ruoli sono invertiti; nel Reis il ruolo del terzo settore è fondamentale non solo nella progettazione, ma anche nella fornitura di servizi, mentre nella seconda proposta è assente; l’introduzione della misura sarebbe graduale nel primo caso ed invece immediata nel secondo.

Quest’ultima differenza accentua la divergenza relativa ai costi per lo Stato che risulterebbero gradualmente crescenti in quattro anni fino a raggiungere i 7,1 miliardi a regime per il Reis contro i 17 miliardi sul primo anno ed i 16,1 a regime del Reddito minimo dei 5 stelle. Divergenza che rende l’adozione del Reis maggiormente compatibile con il mantenimento dei difficili attuali equilibri di finanza pubblica».

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