Reddito di cittadinanza e democrazia

Bisogna precisare la differenza tra salario e reddito minimo. Ma l’urgenza resta il lavoro e la distribuzione del reddito secondo Costituzione. Intervista all'economista Luigino Bruni
Mensa dei poveri

Nel discorso d’addio alla presidenza dell’Eurogruppo (coordinamento dei ministri dell'Economia e delle Finanze della zona euro), il lussemburghese Jean Claude Junker ha affermato che «bisogna ritrovare la dimensione sociale dell'unione economica e monetaria, con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Karl Marx». L’esponente del partito popolare ha avuto il merito di suscitare un dibattito sui contenuti della realtà drammatica del lavoro in Europa. A livello teorico qualche studioso ha tenuto a precisare che il salario minimo non appartiene al sistema dottrinale del filosofo di Treviri, ma alla scuola liberale di Hayek. Sta di fatto che Junker, con un passato alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale, si è distinto ultimamente nella decisa critica alle ingerenze franco-tedesche nella gestione della crisi economica. «Vorrei che in Europa si facessero sopportare le conseguenze della crisi ai più forti. È questa la solidarietà, ne va del modello europeo», ha affermato senza usare toni diplomatici. La questione è quanto mai attuale. Il 15 gennaio a Roma, ad esempio, si è tenuta un’affollata assemblea della rete Basic income network sulla necessità e possibilità del reddito minimo garantito, con relazioni di Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli.

Sentiamo il parere dell’economista Luigino Bruni, professore ordinario di politica economica presso l’università Lumsa di Roma.

Il salario minimo come standard minimo di retribuzione oraria in una determinata area geografica non sembra una novità. Cosa ne pensa?
«Sul salario minimo non ho preclusioni. Ci deve essere, almeno all’interno del Vecchio Continente, un salario minimo al di sotto del quale non si può scendere; altrimenti si crea una concorrenza sleale tra economie di Paesi che sono chiamati a collaborare per offrire una risposta adeguata alla dinamica della divisione internazionale del lavoro. Non si tratta di trovare una retribuzione media (ad esempio quella aritmetica o ponderata tra la paga di un metalmeccanico italiano, portoghese o tedesco) ma di assicurare una retribuzione dignitosa. Quello che sembra un limite, diventa, al contrario, uno stimolo per la creatività e la ricerca che sono le leve efficaci per un mercato che non si può reggere affidandosi alla compressione progressiva dei salari, poiché una delle note peggiori del nostro capitalismo è la riduzione progressiva della quota di valore aggiunto che va ai salari (rispetto soprattutto alle rendite): occorre riaprire una seria discussione pubblica sulla distribuzione del reddito».

Sul reddito minimo di cittadinanza esistono invece un vivace dibattito e prospettive molto diverse tra loro. Che chiave di lettura ritiene di poter dare ?
«Diversamente, sul reddito minimo esistono alcune avvertenze da seguire. Non condannare nessuno all’indigenza, e quindi offrire un reddito di cittadinanza a tutti, è un obiettivo auspicabile per non lasciare senza il minimo vitale chi, altrimenti, per vari motivi, resta senza lavoro. Ogni cittadino ha il diritto ad una vita possibile. Può essere un presidio di difesa della persona da vessazioni o tentazioni di cedere a qualsiasi compenso per poter vivere. Come diceva Gandhi «per chi ha fame il cibo diventa il suo dio». Bisogna tuttavia tener presente la lezione della scuola francescana che insegna a riconoscere il sapore diverso del pane ricevuto senza poter lavorare da quello guadagnato con il sudore della fronte ("di elemosina si può sopravvivere, ma per vivere occorre il lavoro"). Esiste, infatti, una sottile ma insidiosa tendenza, in certi ambiti, a dichiararsi favorevole al reddito minimo di cittadinanza perché la si considera una condizione fisiologia dell’economia contemporanea dove la percentuale di disoccupazione è destinata a restare molto alta e quindi allo Stato non rimane altro da fare che distribuire l’elemosina. Questa ideologia è molto pericolosa, perché mille euro ricevute dallo Stato e mille euro guadagnati lavorando non solo la stessa cosa: il denaro che nasce dal lavoro è generativo di nuova vita e nuova economia, soprattutto quando si è giovani e sani. Il lavoro non è solo un mezzo per avere denaro da spendere, ma fioritura umana, realizzazione della nostra persona».

Si può leggere, in questa impostazione, l’idea di dare a ciascuno un minimo e poi lasciare liberi gli “spiriti animali” dell’individuo, che può generare ogni sorta di diseguaglianza?
«Esiste questo rischio che è poi la contraddizione del fondamento della Repubblica secondo la Costituzione italiana. A ciascuno va assicurato un lavoro dignitoso e il ruolo pubblico è quello di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Oggi gli ostacoli sono aumentati con la globalizzazione, ma non dobbiamo entrare nella logica della società dei due terzi che lavorano e mantiene il terzo disoccupato: sarebbe un impoverimento dell'economia e della democrazia».

(Nella foto, una mensa della Caritas)

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