Realtà e conoscenza

Che cosa vediamo davvero del mondo e “come” lo percepiamo? Quanto è “vera” la descrizione scientifica?
tecnica
Se qualcuno a bruciapelo ci chiedesse: «ma il mondo è luminoso o buio?». Ebbene, a questa domanda, che potrebbe sembrare bizzarra, se non futile, di fatto non possiamo rispondere in modo del tutto scontato e semplicistico. Certo, la nostra esperienza comune quotidiana ci presenta una realtà in superficie luminosa o buia. E tutti pensiamo che sia veramente e completamente così. Ma cadremmo nell’inganno conoscitivo (errore epistemologico) più clamoroso e ingenuo, se concludessimo che luminosità e buio costituiscono davvero due attributi “reali” e assoluti del mondo. Noi non vediamo la realtà com’è, ma ci costruiamo di essa un’interpretazione inesatta e molto approssimativa, “un’immagine mentale” indiretta e imprecisa.

 

In effetti non vediamo mai direttamente ed esplicitamente le cose  quali sono nella loro vera costituzione interna, segreta e invisibile (nella forma di energia originaria e di radiazioni), come le potrebbe descrivere,  sempre “indirettamente” e per approssimazione, un fisico nucleare attraverso strumenti elettronici.

Nelle sue strutture  più profonde, emergenti da campi quantistici di energia e da onde elettromagnetiche (di cui non vediamo direttamente l’origine e la causa primissima), il mondo non è né luminoso né buio. Indipendentemente dai nostri occhi e dal nostro modo normale di conoscere, alla base del nostro “vedere” si trovano solo delle inesplicabili onde elettromagnetiche che, di per sé,  non sono né “luminose” né “buie”.

 

Quando un’onda elettromagnetica raggiunge i nostri occhi, colpendo le cellule della retina, allora si genera nei milioni di neuroni del nervo ottico un segnale elettrico e chimico diretto alla corteccia visiva. In tal modo  luminosa e buia diventa soltanto la nostra esperienza visiva, la nostra “immagine” mediata e indiretta, non il mondo quale veramente è. Come poi l’energia dell’onda elettromagnetica, nella  sua banda di lunghezza estremamente ridotta e percepibile dal nostro sistema visivo (fra i 400 e i 700 milionesimi di millimetro), nei neuroni del nostro cervello si trasformi da insieme di fotoni in sensazione ottica e in esperienza psichica cosciente, in “immagini mentali” che il linguaggio traduce con le parole “luminoso” e “buio”, simile processo rimane per ora un grande mistero, anche per la scienza.

 

Questo, comunque, si può dire: la nostra percezione dell’ambiente esterno con i sensi, e la nostra conoscenza delle cose, non ci rappresentano  per nulla “direttamente” una copia fedele, autentica e completa di come è davvero il mondo (realismo ingenuo). Noi non vediamo svelatamente il mondo come è nella sua identità profonda.

Al contrario, la nostra conoscenza “quotidiana” di esso si rivela solo una “copia” superficiale indiretta e del tutto approssimativa (“in aenigmate”, I Corinzi, 13,12), attendibile unicamente per la semplice vita ordinaria. Tale condizione si presenta come il paradosso più pungente e inquietante del nostro rapporto con la realtà.

 

Non tutti gli occhi degli esseri viventi nel nostro pianeta, inoltre, “vedono” il mondo nello stesso modo. I rettili percepiscono i raggi infrarossi, che noi non vediamo. Gli squali sono capaci di rilevare campi elettrici di debole intensità, che noi non avvertiamo. Altri occhi di esseri viventi vedono i colori, mentre per molti sistemi visivi la percezione colorata non si effettua. Per quanto ci riguarda, vediamo solo una porzione limitatissima della realtà.

 

Ma quello che ci distingue davvero dagli animali è la “consapevolezza” del conoscere secondo libertà (la coscienza). Un privilegio inestimabile e inspiegabile in sé, culmine di un precedente percorso evolutivo (oltre 13 miliardi di anni), governato da un’attività creativa a dimensione cosmica, il cui operato per gran parte ci resta inconsapevole, producendo in noi un incolmabile dislivello conoscitivo di fronte alla realtà.

Per lo più, invece, riteniamo che quello che scorgiamo sia “tutto quanto”, e ci si manifesti, nella sua verità, così com’è e basta. Insomma, benché del tutto imprecisa e provvisoria, siamo portati ad assolutizzare la nostra conoscenza, imperfetta in tutte le sue forme compresa quella scientifica. In tal modo diventiamo giudici e controllori perfetti di questo mondo che riteniamo, spesso, sbagliato e fatto tanto male.

 

Una presunzione così infondata caratterizza l’atteggiamento di un numero crescente di persone, compresi gli scienziati che intenderebbero rifare da capo, a loro piacimento, la vita, manipolando senza regole l’energia “informatizzata” delle particelle ed il codice genetico.

Questa presunzione genera l’equivoco culturale più fuorviante, perché suscita idee distorte sulla natura, su noi stessi e sulla  conoscenza scientifica, il cui valore deve essere sempre tenuto presente e apprezzato, ma non è infallibile. Si tratta di una vera “patologia epistemologica” (G. Bateson), perché i nostri recettori sensoriali centrali (vista, udito, olfatto, gusto) e periferici (temperatura, pressione, posizione corporea ecc.), direttamente o indirettamente (con i sensori artificiali e con i dispositivi elettronici più raffinati), ci permettono di vedere solo un frammento e ci offrono esclusivamente un’interpretazione approssimativa della ricchezza inesauribile del mondo, e mai una sua copia completa ed esatta.

 

Anzi, il maggior numero dei dati ricevuti dal nostro sistema nervoso centrale non raggiunge neppure il livello della nostra coscienza, né per quanto si riferisce  ai moti profondi dell’ animo (inconscio), né per quello che accade all’interno dell’architettura del nostro corpo (miliardi di reazioni chimiche e di trasformazioni energetiche, funzionamento delle cellule, del sistema endocrino e degli organi vitali).

Se allarghiamo poi la nostra vista all’universo, con tutti gli sforzi della nostra tecnologia riusciamo a percepire solo il quattro per cento del suo contenuto. Il restante novantasei per cento, costituito, secondo recenti ricerche, da materia oscura e da energia oscura, ci rimane inconoscibile.

 

Questa consapevolezza dovrebbe renderci saggi: da un lato nell’accettare con serenità le cose che non si possono cambiare, dall’altro nell’avere il coraggio di modificare le cose che si possono cambiare.

Ecco perché occorre esaminare con attenzione i fondamenti e i presupposti essenziali relativi alla validità e ai limiti della nostra conoscenza. Questi presupposti sono stati pre-organizzati insieme con la nostra stessa struttura biologica e genetica. Proprio grazie all’attività profonda, incessante, silenziosa e segreta di una Conoscenza (con la c maiuscola) che ha reso possibile la nostra stessa conoscenza, agendo dentro e fuori di noi, e che permette all’intero universo delle cose di esistere e ai viventi di conservarsi in vita.

 

Prendere in considerazione tali presupposti, biologicamente stabiliti, diventa una necessità primaria nell’attuale contesto culturale. Lo scarto irriducibile tra la nostra conoscenza incompleta e provvisoria del mondo e la realtà com’è deve avere un significato. In primo luogo tale scarto conoscitivo appare pre-disposto proprio a nostro vantaggio, come uno schermo provvidenziale. Avere la conoscenza diretta di come si realizza davvero l’universo delle cose e di come funziona il nostro organismo, implicherebbe un coinvolgimento “responsabile” in prima persona dalle conseguenze inimmaginabili, ma indubbiamente molto complicate e rischiose. Che succederebbe, per esempio, se il battito del nostro cuore dipendesse direttamente dalla nostra conoscenza?

 

Dovremmo passare ogni attimo della vita a ispezionare che il suo ritmo sia regolare ed efficiente. E che dire del controllo meticoloso e interconnesso del funzionamento sincronico, nel nostro corpo, dei miliardi di cellule e dell’organizzazione funzionale dei miliardi di neuroni nel nostro cervello? Questa situazione ci toglierebbe la possibilità di vivere, gettandoci nell’angoscia persistente. Mentre, di fatto, l’attività connessa e complessa  del nostro organismo per azione di quella Conoscenza segreta e che rimane al di sotto della soglia della nostra coscienza, non ci “disturba” per nulla.

 

Tale segretezza creativa modella la vita nei suoi processi più profondi, mantenendosi nascosta alla nostra coscienza diretta. Questo esclude le troppo facili risposte, riduttive e di tipo materialistico. La segretezza del mondo e della vita, infatti, rappresenta da una parte lo stimolo più potente e appassionante per la ricerca scientifica, dall’altra spiega anche la ragionevolezza e la persistenza in ogni tempo e luogo della sfera del sacro, la ricerca perenne di un significato profondo della vita.

 

In questo contesto allora si colloca il problema del limite per la nostra conoscenza e per la scienza: esso, prima che in divieti storici e culturali più o meno discutibili, si radica nella limitatezza costitutiva della nostra umanità, almeno nell’esperienza “biologica”. Oggi molti chiedono alla scienza un sapere assoluto, nella convinzione che solo essa risolva tutti i problemi dell’umanità. Cosa accadrebbe se, per ipotesi, la  conoscenza scientifica raggiungesse direttamente la verità assoluta (la mente di Dio)? Saremmo all’istante bruciati, non potremmo più rimanere biologicamente in vita, perché non possiamo entrare in diretto contatto con l’essenza smisuratamente illimitata dell’energia cosmica e continuare a vivere, come non è possibile, già ora, vedere direttamente il sole senza subire danni alla nostra vista.

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