Quotidiani: Avvenire new look

QUOTIDIANI “AVVENIRE” NEW LOOK Grandi manovre ad Avvenire, il quotidiano voluto da Paolo VI, e diventato con la direzione di Dino Boffo un giornale dal profilo alto. Le novità? Una nuova testata; una grande bolla azzurra che contiene il logo “Av”; una veste grafica più agile, con più spazio alle foto spesso elaborate; pagine monotematiche, ma con il quarto superiore dedicato a notizie brevi che possono anche essere indipendenti dal tema principale; una seconda pagina di editoriali; due pagine in più date alla cultura, la ben nota sezione Agorà; più attenzione alla società… Nel complesso un giornale più vivace e gradevole, meno rigido di come era diventato il precedente, anche se la leggibilità non è garantita in anticipo; ma, come sempre accade con i restyling, bisogna attendere un mese o due per capire se la mossa sarà accolta con favore dai lettori. Per quanto riguarda la strategia, così scrive Boffo nell’editoriale del 7 maggio: “C’è una nuova centralità per i media d’ispirazione cattolica che intendono mettersi in gioco – senza iattanza eppure con fierezza – nel pluralismo marmellatoso odierno”. Che vuol dire? Vuol dire cercare di allargare l’audience del giornale anche al di fuori del lettorato cattolico, pescando fra coloro che ritenevano Avvenire “prevedibile, sonnacchioso, scontato”. In parole povere, proporre un’identità cattolica forte. Una sfida che non è guadagnata in anticipo. Auguriamo di tutto cuore ai colleghi di Avvenire, a cui va riconosciuta una professionalità vieppiù efficace, di diventare sempre più il luogo dove le forze vive della Chiesa italiana possano esprimere il loro forte potenziale innovativo, quello che viene dallo Spirito. Naturalmente, tra queste forze vanno annoverati i movimenti e le nuove comunità, nel passato non sempre valorizzati a sufficienza nelle colonne del quotidiano, nonostante siano il contrario di quanto è “prevedibile, sonnacchioso e scontato”. (m.z.) SGUARDI DALL’ALTO Le montagne in pellicola Non è facile rendere appetibile e propositivo, nella giungla del cinema, un festival costruito su pellicole girate fra gli ultimi contadini d’alta montagna della Val Sarentino o sulle pendici di un ottomila. Eppure, in silenzio, ma con tenace perseveranza il Filmfestival della Montagna di Trento è giunto, proprio nell’Anno internazionale della montagna, alla 50esima edizione, e vi è giunto a testa alta. Lo conferma la ricca cornice di pubblico e la partecipazione interessata di decine e decine di alpinisti, di ieri e di oggi, d’ogni parte del mondo: dai protagonisti degli ottomila come Wielicki, Carsolio o Diemberger a quelli che hanno posto la loro firma sulle più aspre pareti delle Alpi e non solo, come Heckmair, Cassin o Maestri, fino a Dhamei Tenzing, figlio di Norgay, lo sherpa che nel ’53 conquistò l’Everest con Edmund Hillary. In questi cinquant’anni la rassegna trentina è rimasta la più prestigiosa del settore, mutando il suo stile tanto quanto è mutato l’approccio alla montagna ed all’esplorazione: l’inesorabile avanzare del turismo è la cima di un iceberg dello sviluppo che oggi scopre di dover fare i conti con la tutela dell’ambiente. A testimonianza di una rinnovata sensibilità per la natura e l’ambiente, un grande numero, 252, di opere cinematografiche presentate nelle quali, motivati solo da una autentica passione per la montagna, l’avventura e l’esplorazione, registi noti e meno noti, hanno comunicato, in forma di cinema, espressioni artistiche di grande valore sull’ambiente naturale e sulle imprese dell’uomo. È difficile descrivere le immagini, di assoluta bellezza, offerte al pubblico in una settimana fitta di programmazione: un pubblico che deve ritenersi privilegiato perché opere come Le peuple migrateur di Jacques Perrin (miglior film: uno straordinario documentario girato “in volo” con gli uccelli migratori) o Mustang di Pavol Barabas (miglior fotografia: la surreale atmosfera della preghiera buddista fra le vette del’Himalaya), non le vedremo mai sugli schermi delle nostre sale cinematografiche.

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