Quell’italiano deciso e coraggioso

Venti anni fa moriva Gian Maria Volontè, straordinario talento del nostro Novecento. Nella sua arte il desiderio di smuovere le coscienze, attraverso il talento straordinario e il modo ossessivo di affrontare i personaggi
Volontè

Quando la morte lo raggiunse, il 6 dicembre del ’94, stava recitando per Theo Angeolopous nel film Lo sguardo di Ulisse, era il vecchio direttore della cineteca di Sarajevo, salvava i film dalle bombe, la memoria dell’ex Jugoslavia insanguinata. Se Alberto Sordi ha raccontato l'italiano nella sua debolezza cronica e nei ripetuti fallimenti, Gian Maria Volontè l'ha mostrato deciso e coraggioso, lottatore e solo, un pò come era lui. Ha interpretato uomini che dell’Italia hanno fatto la Storia, ognuno a modo suo. E' stato Carlo Levi, Bartolomeo Vanzetti, Enrico Mattei, Aldo Moro ed Aldo Cervi, uno dei sette fratelli uccisi durante la resistenza. La prima volta di Volontè protagonista è con Un uomo da bruciare dei fratelli Taviani e Valentino Orsini (1962), nei panni del sindacalista Salvatore Carnevale, realmente ucciso dalla mafia. Carnevale fu un ribelle, lottò per i diritti dei braccianti in una Sicilia dominata dal potere criminale. Sempre nel '62, Volontè partecipa a Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy (altro film sulla resistenza) e nel '63 interpreta Il terrorista di Gianfranco De Bosio, ispirato alla vicenda di Otello Pighin, ingegneree partigiano medaglia d'oro al valor militare. Tre film di Storia e impegno, perchè per Volontè il cinema era strumento politico: megafono per comunicare nuove speranze al suo Paese. Un mezzo per alimentare sogni e bisogni di cambiamento. «Per Volontè praticare l’arte e trasformare il mondo sono cose collegate» dice Ferruccio Marotti, autore di un documentario sull’attore.

Ecco perché le fortunate esperienze con Sergio Leone, Per un pugno di dollari (1964)e Per qualche dollaro in più (1965), rimangono parentesi incapaci di saziare la sua sete di impegno politico. Così come certe escursioni nella commedia: Il magnifico cornuto di Pietrangeli (1964) e L’armata Brancaleone di Monicelli (1967). Quando potè scegliere, i suoi western diventarono quelli metaforici e politici di Damiani (Quien sabe?, 1966) e Sollima (Faccia a faccia, 1967). Sentiva di dover smuovere le coscienze, attraverso il suo talento straordinario e il suo modo ossessivo di affrontare i personaggi. Alle sue spalle c’era una storia difficile, con un padre in galera (per motivi politici) e la scuola abbandonata presto. Poi mille lavoretti e l’accademia senza borsa di studio; le notti passate a dormire in macchina, prima del teatro, della televisione e del miglior cinema di impegno civile italiano. Non fece film dove avrebbe guadagnato molti soldi: li definiva “borghesi”. Ne fece altri coi protagonisti più simili al suo carattere ribelle.

Nel '67 incontra il regista Elio Petri e lo sceneggiatore Ugo Pirro. Il primo frutto del prezioso sodalizio è A ciascuno il suo:un'opera contro la mafia tratta da Leonardo Sciascia, l'anno prima di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, vincitore di un Oscar come miglior film straniero. Volontè è un commissario viscido e assassino, un personaggio con cui il film accusa frontalmente il potere. E' una finzione che svela la dolorosa complessità del reale, perchè i suoi personaggi partono spesso dalla realtà ma qualche volta ci arrivano dalla fantasia. Come nel caso dell'operaio alienato de La classe operaia va in paradiso (1971), ancora Pirro e Petri, Palma d'Oro a Cannes ed efficace viaggio nella fabbrica, nelle sue dinamiche e nei suoi effetti sull'uomo. Petri e Volontè chiudono nel '76 con Todo modo, ancora Sciascia e ancora una denuncia contro il potere, stavolta politico. E' un'allegoria tragica espressa mediantemaschere, con la figura di Aldo Moro decisamente maltrattata. Lo stesso Volontè, però, dieci anni dopo costruisce un ritratto intenso e pieno di umanità del politico ucciso nel 1978: «Ho cercato di interpretare la tragedia e la solitudine di Moro, ho molto rispetto per lui» dirà Volontè alla fine de Il caso Moro di Giuseppe Ferrara. I film con Petri sono quattro, quelli con Francesco Rosi cinque. In Uomini contro (1970) è un tenente che considera la Grande Guerra un massacro dei più deboli, ne Il caso Mattei (1972) è il presidente dell'ENI, con cui si raccontano diversi anni di storia politica italiana; in Lucky Luciano (1973) è il boss mafioso italoamericano e in Cristo si è fermato ad Eboli (1979) è lo scrittore Carlo Levi, personaggio attraverso il quale viene mostrata la realtà drammatica dell’intero meridione italiano. L'ultimo film con Rosi è Cronaca di una morte annunciata, del 1987, quando ormai Volontè trova difficoltà a lavorare in Italia: per il suo carattere irruento, ma anche perchè il nostro cinema è meno capace di denunciare i malesseri italiani. Riuscirà lo stesso a regalarci alcune perle: le interpretazioni in Porte apertedi Gianni Amelio (1990) e in Una storia semplice di Emido Greco(1991), due film tratti ancora da Sciascia, uomo libero e coraggioso come Volontè, attore sempre un po' autore, arrabbiato col presente e smanioso di migliorarlo. Appassionato e straordinario talento del nostro Novecento.

 

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