Quel passaggio da una banca all’altra

Il trasferimento da un’agenzia di credito ad un’altra crea disagi e non avviene in modo indolore, ma non ci sono solo le minacce di licenziamento o il mancato riconoscimento personale: l’investimento più cospicuo resta quello sulle persone. Dalla newsletter Risparmio e Finanza di Umanità Nuova Roma
Operatori bancari

La banca per la quale ho lavorato sino a dicembre scorso si è accordata con un'altra del Gruppo per la cessione dello sportello dove ero assegnato. Questa cessione rispondeva a precise strategie commerciali e ha comportato l’acquisizione dell’intero portafoglio clienti, i rapporti a loro intestati e l’operatore unico che li gestiva, cioè il sottoscritto. Quando i responsabili della nuova banca mi hanno presentato quest’acquisizione e l’intenzione di assumermi per poter garantire continuità alla clientela, mi hanno lusingato oltremodo, ma mi hanno anche specificato che non era previsto alcun “benefit” per l’accettazione della nuova destinazione, trattandosi di un “trasferimento interno” ad un’altra azienda dello stesso gruppo.

La prima reazione è stata di sconforto. Ho sentito la mia professionalità umiliata e non riconosciuta dopo trent’anni di impegno costante. Ho deciso di comunicare la mia indisponibilità al trasferimento, motivandola con il desiderio di continuare il rapporto lavorativo lì dove avevo iniziato e dove trovavo sicurezza e considerazione, e specificavo che la mancanza di reali incentivi non mi consentiva di affrontare il cambiamento. Sono stato convocato dai vertici delle due banche che per tutta risposta mi hanno risposto che chiedendo riconoscimenti aggiuntivi ero io a voler approfittare della situazione e mi si è paventato il licenziamento qualora avessi rifiutato la proposta poiché non rientravo nei piani produttivi aziendali.

Al di là di questa minaccia, più a parole che a fatti poiché le norme non lo avrebbero permesso, ho compreso che iniziare un “braccio di ferro” avrebbe probabilmente comportato trasferimenti indesiderati o incarichi di ripiego. Le settimane si susseguivano in un forte disagio. Ero scoraggiato e rattristato e la mia salute ne ha risentito. Il conforto è arrivato dalla famiglia e da alcuni amici con cui condivido anche le idealità che sottostanno alla mia professione e alle mie scelte di vita. Su loro suggerimento ho chiesto all’azienda maggiori garanzie per il futuro, ma con loro ho cominciato a riflettere che forse Dio aveva a che fare con questa situazione non voluta o cercata, e che forse proprio Lui stava prendendo in mano la mia vita. Dopo ulteriori colloqui con il rappresentante sindacale che mi ha assistito, ho deciso di accettare la proposta di trasferimento e di passare da dicembre alla cosiddetta “migrazione operativa” tra le due realtà: un impegno notevolissimo.

Pur mantenendo la stessa sede operativa, gli stessi sistemi di lavoro e la medesima clientela, “migrare” tutte le varie posizioni non è stato assolutamente semplice. Pagamenti respinti, rapporti di conto rimasti alla banca di origine, malumori per informazioni non pervenute in tempo, more maturate per rate non pagate, il rischio di perdere parte della clientela sempre incombente. E intanto cresceva il mio disagio, la difficoltà nel gestire il nuovo lavoro e i dubbi sulla scelta decisa.

Mi sono chiesto cosa avesse più valore in questo travaglio. Ho deciso di puntare sul rapporto con i miei clienti e sulla forte fiducia reciproca, cercando di dimostrare massima disponibilità, sottolineando che per loro nulla era cambiato e che potevano continuare a contare su di me, che avrei fatto di tutto per eliminare gli inconvenienti della migrazione.

Giorno dopo giorno, questa si è confermata una tattica vincente: alcuni clienti arrivavano allo sportello visibilmente contrariati, ma poi notando la mia calma e quella del collega vicino, la nostra massima disponibilità nel risolvere il problema, diventavano più cauti e distesi, e dicevano frasi del tipo: «Resto qui perché ci sei tu», «Nulla di personale nei tuoi confronti».

Tanti gli episodi dietro lo sportello che mi confermavano nella scelta di investire sulle persone. Una cliente aveva necessità di investire un discreto capitale. Le preparo tre differenti operazioni con condizioni prestabilite dalla Direzione. Dopo qualche giorno, la cliente ne sceglie due, ma la Direzione mi nega le condizioni già precedentemente condivise, con motivazioni piuttosto vaghe. La cliente, evidentemente contrariata, voleva mandare a monte tutto. Telefonate, incontri, accordi: niente porta frutto. Ripropongo la soluzione scartata, ma che a me sembrava la più opportuna. La sua inattesa risposta è: «Se a te sembra adatta, facciamo come dici tu, evidentemente hai ragione».

C’è un collega con cui si è creata una buona intesa lavorativa, ma dopo appena un mese viene trasferito e mi tocca cominciare ad istruire da zero una nuova risorsa proveniente da un’altra città. Il collega trasferito mi confida di «aver trascorso con me un mese molto positivo», che lo aveva arricchito professionalmente, mentre il nuovo collega mi confida di aver percepito la mia accoglienza molto calorosa, come un serio aiuto per inserirsi nella nuova agenzia e nella nuova città.

Le problematiche relative alla novità non si sono certo risolte del tutto, ma la strada imboccata mi sembra quella giusta.

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