Quel Natale speciale

Il primo contatto di colui che sarebbe diventato uno dei cofondatori del Movimento dei focolari con la comunità trentina.
Pasquale Foresi

Il Natale del 1949 fu decisivo per molti di noi appartenenti ai Focolari. Era passata da Pistoia, dove allora studiavo, una signorina di questo movimento allora poco conosciuto, Graziella De Luca, invitata a tenere conversazioni ai dirigenti cattolici di quella città. Più per cortesia che per convinzione, l’avvicinai: era infatti ospite della mia famiglia. Mi parlò di questo ideale cristiano, che i membri del movimento stavano vivendo e che aveva allora la sua centrale a Trento.

Dopo un po’ di scetticismo, rimasi colpito dalla convinzione e dalla semplicità con la quale venivano espressi quei concetti così antichi, così vitali, così profondi. Rimasi anch’io “conquistato”; ma l’andata a Trento per conoscere questa comunità sarebbe stata comunque una verifica a quello che avevo sentito raccontare.

Tante volte mi avevano parlato di cose buone e belle, ma il contatto con la realtà aveva sempre ridimensionato le asserzioni di coloro che entusiasticamente me le avevano presentate. Tuttavia, se pure avessi avuto una delusione a Trento, se pure quella speranza fosse diminuita del venti, trenta, del cinquanta per cento, sarebbe rimasto ancora molto e bisognava accertarsi se esisteva davvero un mondo nel quale la fraternità cristiana era realizzata come è possibile qui in terra tra persone fragili e fallaci. Fu così che presi il treno per Trento, approfittando delle vacanze natalizie.

Arrivato alla stazione, fui accolto da un ristretto gruppo di giovani e ragazze, pieni di affettuosa cortesia, e fu appunto lì che mi accorsi che nel mio stesso treno viaggiavano molte altre persone arrivate con il medesimo intento di conoscere il movimento. Fui ospite di una famiglia durante quel periodo, mentre altri furono accolti presso il focolare maschile, sacerdoti o altre famiglie.

 

Entrando in contatto con varie coppie di sposi, mi accorgevo, man mano che i giorni passavano, che erano animate da un desiderio sincero di vivere il Vangelo così come sta scritto, senza gli adattamenti che generalmente siamo soliti fare. L’impressione fu profonda. Quello che avevo sentito annunciare poche settimane prima a Pistoia era una realtà.

Poi visitai il focolare maschile, allora l’unico del genere in Italia e nel mondo, con quattro membri: persone semplici, impiegati e operai. Quel focolare era stato ricavato da una specie di box che in realtà fino allora era stato adibito a pollaio. Ma le pareti, dipinte di fresco, erano adornate di motivi cristiani, che a prima vista non si riconoscevano, ma che, scoprendoli poi, facevano intuire come sotto ogni pennellata v’era stata una goccia d’amore. L’ambiente era povero e trasudava tutto di umidità, a causa del contatto diretto col terreno e del calore proveniente dalla cucina a legna. Fuori infatti, in quei giorni, vi erano quindici gradi sotto zero.

Tuttavia, quei disagi, invece di impressionarci negativamente, nemmeno erano notati, per l’atmosfera cordiale e cristiana che vi regnava. Sono sicuro che se ci fossimo trovati, invece che lì dentro, in un igloo del Polo Nord, la cosa non avrebbe avuto ugualmente alcuna importanza. Regnava infatti tra loro, nella mutua carità, Gesù: ed era quella presenza che annullava ogni difetto materiale.

Fu in quei giorni che, leggendo il brano della perla trovata, per possedere la quale il ricco commerciante vende tutto quello che ha, esso ci si svelò nella sua profondità. Avevamo trovato la perla preziosa: Cristo vivente in una comunità. Valeva la pena perciò vendere tutto, l’intellettualismo e il criticismo, i beni di questa terra, una carriera, vendere anche la fama (giacché già alcuni guardavano con sospetto questo movimento). Tutto valeva la pena di vendere, pur di comperare questa perla preziosa.

 

Venimmo in contatto anche con coloro che per prime avevano dato vita al movimento, in modo particolare con l’iniziatrice, Chiara. Per alcuni di noi questo contatto, più che desiderato, era temuto. Era il timore di avere una delusione che ci avrebbe arrestati dal metterci decisamente con esso. E poiché nei primi giorni del nostro soggiorno a Trento non avevamo avuto modo di conoscerla, man mano che aumentava l’entusiasmo per quello che avevamo trovato, aumentava anche l’apprensione per questo incontro. Dopo alcuni giorni ci fu quest’occasione.

Ci trovammo in una stanzetta disadorna e immediatamente ogni timore scomparve. Avevamo a che fare con una persona uguale alle altre, che parlava con il massimo equilibrio, solo ancor più semplice, limpida, profonda delle altre. Certezza e buon senso fluivano nel suo discorso tutto incastonato di frasi evangeliche, di san Paolo, degli apostoli. Ci raccontava una storia semplicissima, e cioè che in questo mondo ciò che vale è Dio, e che gli uomini per amarlo debbono volersi bene fra loro.

Anche quest’incontro ormai ci aveva rafforzato nella convinzione che quello che avevamo trovato non era qualcosa di passeggero, di superficiale, di esaltato, ma era un movimento che voleva vivere il Vangelo, adesso, nel ventesimo secolo. Senza presumere di essere perfetto, né nei suoi membri, né nelle sue organizzazioni.

Quando ripresi il treno per riportarmi presso la mia famiglia e ripensai ai timori dell’inizio, ero cosciente che quanto avevo trovato era molto di più di quanto mi era stato presentato. A voce, infatti, si può già dire qualcosa, ma non comunicare pienamente quanto è bello e gioioso vivere in una comunità dove Cristo è presente. E lui, una volta scoperto, non solo non delude, ma ci apre un mondo di dimensioni sconosciute, che una vita non basta a scoprire e capire.

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