Quei tremila nomi che raccontano l’11 settembre

Sono trascorsi 15 anni dall’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Una commovente cerimonia al Memorial del World Trade Center ha ricordato il giorno che ha cambiato la storia degli Usa e non solo
Memorial del World Trade Center

Sono il suono di una campana e il silenzio che ne segue ad aprire alle 8:46 la cerimonia di commemorazione delle 2.977 vittime dell’attentato dell’11 settembre 2001, quando proprio alle 8:46 un aereo dell’American airlines colpì la Torre nord del World Trade Center, il cuore commerciale di New York. Per cinque volte ancora questa campana suonerà a segnare quelle ore che hanno cambiato la storia di tante famiglie e di un Paese. Alle 9:03 il volo United Airlines 175 si schianta contro la torre sud; alle 9:37, un altro aereo colpisce il Pentagono; alle 9:59 crolla la torre sud e alle 10:03 un altro volo si schianta su un campo in Pennsylvania. L’ultimo rintocco è alle 10:28, quando anche la torre nord precipita al suolo. Il silenzio è fatto anche di lacrime e di abbracci e l’unico suono è quello delle cascate delle due piscine che segnano il perimetro delle torri e sui cui parapetti sono incisi i nomi di chi quel giorno non fece più ritorno a casa.

 

Questi nomi vengono scanditi a turno da figli, madri e padri, fratelli, cugini, amici e colleghi di poliziotti e pompieri: vengono letti non solo i nomi delle vittime di quel giorno, ma anche di chi è morto successivamente per tumore conseguente alle polveri respirate durante il crollo e gli incendi. Ciascuno reca una storia, un ricordo, la commozione e la tenerezza, una poesia e una preghiera. Un uomo anziano legge il nome del figlio e non senza turbamento gli raccomanda di non dimenticarlo, «soprattutto ora che la mamma da due settimane ti ha raggiunto». Un ragazzo, pronunciando il nome del padre, gli confida che comincerà il college, mentre una ragazza annuncia la fine del suo master. C’è chi leggendo quei dieci nomi reca l’immagine del suo caro e chi invece mostra una spilla con la foto. Un giovane uomo racconta alla piazza di indossare la “ridicola maglietta” che piaceva tanto al fratello «perché io non ti dimentico e non farlo neppure tu». Aveva dieci anni Jerry quando perse suo padre e racconta che quest’anno ha lavorato con i bambini della scuola elementare Sandy Hook, dove vennero uccisi da un killer 20 bambini e sei insegnanti.

 

Ascoltano in piedi e in silenzio Rudolph Giuliani, il sindaco che visse quella tragedia, e Michael Bloomberg, quello che si è occupato di ricostruire il dopo. Billy De Blasio, l’attuale primo cittadino, sovrasta con la sua statura anche i due candidati alla Casa Bianca presenti in piazza con discrezione. Sia Trump che Hillary hanno deciso di sospendere la campagna almeno oggi. La Clinton si è  dovuta allontanare per un malessere che in serata è stato confermato essere una polmonite. Sul piccolo palco all’interno del giardino di querce bianche sfilano tutte le condizioni sociali e le nazionalità, le lingue, le fedi e i colori di questa nazione. E intanto qualcuno deposita fiori sui nomi, li inzuppa di lacrime, li accarezza. La ferita nel cuore di tante famiglie non è ancora sanata.

 

C’è chi dopo la morte del fratello ha scelto di servire la patria arruolandosi e chi invece lancia un appello all’unità dopo aver perso alcuni membri della famiglia. «Almeno per oggi lasciate il cellulare per qualche ora e spegnete la tv per andare dal vicino e salutarlo, per andare ad aiutare chi nel quartiere è in difficoltà. Facciamolo almeno oggi per qualche ora. E domani tutto come prima? No, domani facciamolo di nuovo per ricostruire le nostre comunità e non essere più divisi ma uniti, come di fronte a questi nostri morti». «Pluribus unum – Molti uno», ha ribadito lo stesso Obama citando l’atto fondativo degli Usa nella cerimonia di commemorazione che si è svolta al Pentagono. «La nostra diversità – il nostro patchwork – non è una debolezza; è e sarà sempre uno dei nostri maggiori punti di forza. Questa è l'America che è stata attaccata quella mattina di settembre. Questa è l'America a cui dobbiamo rimanere fedeli», quasi a smorzare i continui tentativi di separazione di questi ultimi mesi di presidenza, come la questione degli afro-americani. Poi il presidente riserva un pensiero alle famiglie.
 

«Sono consapevole che nessuna parola o azione che compiamo può veramente cancellare il dolore dell’assenza dei nostri cari, ma la fedeltà dei sopravvissuti e delle famiglie dell’11 settembre sono stati fonte di ispirazione per me e per tutto il nostro Paese». Un’ispirazione che sembra mancare agli Usa, nuovamente divisi dal colore della pelle e dalla religione, ancora impauriti dagli effetti della crisi economica, sfiduciati per il livello del dibattito politico interno e preoccupati per l’ondata di terrorismo che dopo l’Europa potrebbe nuovamente travolgerli. Oggi è giorno della memoria e dell’orgoglio perché nonostante la tragedia, New York si è rialzata e l’America è rimasta in piedi, come le tante testimonianze di queste oltre tre ore di celebrazione hanno provato. E i due fasci di luce che nella notte partono da Battery Park fino a quattro miglia su in cielo a segnare la direzione delle torri e a illuminare il blu, come ultimo tributo a chi per fede quel cielo lo abita e a chi dal basso cerca ancora di comprenderlo. Anche gli artisti hanno voluto tributare il loro omaggio alle vittime.

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