Quanto vissuto da quei legni carbonizzati!

Dall’antica Ercolano un patrimonio ligneo unico al mondo. Per la prima volta riunite in una mostra queste testimonianze sulla quotidianità di un remoto passato
Una prospettiva del Parco Archeologico di Pompei (Foto: Luciano Pedicini. Materiale stampa dal sito della mostra "Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano"

Da ragazzo, la prima volta in cui visitai gli scavi di Ercolano, rimasi affascinato dai reperti in legno disseminati in alcune domus della città distrutta dal Vesuvio: appartenevano a porte, finestre, tramezzi, utensili, mobili ed elementi di arredo, che il particolare tipo di seppellimento dovuto a una colata vulcanica alta fino a venti metri aveva carbonizzato ma non bruciato: a differenza di Pompei, Stabia e Oplonti, dove invece il materiale deperibile come quello ligneo s’è dissolto. Quegli oggetti rientravano nell’esperimento di “città-museo” avviato da Amedeo Maiuri, soprintendente dal 1927 al 1961, cui si deve la ripresa in epoca moderna degli scavi a Ercolano. Lasciando dove possibile i reperti in situ, tra i quali appunto i più fragili in legno, il celebre archeologo intendeva restituire un’apparenza di vissuto alle nude rovine.

Ricordo soprattutto l’impressione suscitata in me dall’allestimento, nella domus di Granianus, di una stanzetta quasi claustrale, nella quale alcuni mobili lignei – un tavolino, uno sgabello, un telaio e una culla a dondolo dove erano stati rinvenuti gli esili resti di un neonato – lasciavano facilmente immaginare la scena di una madre intenta a tessere, mentre sorvegliava, forse cantando una ninna nanna, il suo bambino nella culla. Aver riunito in un unico ambiente oggetti della quotidianità pressoché identici agli attuali mi rendeva contemporaneo a quanti erano vissuti lì due millenni fa, ricreava un’atmosfera familiare che non ho più dimenticato.

Culla, uno dei reperti lignei in esposizione alla mostra “Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano” (Foto: Giorgia Bisanti, dalla cartella stampa del sito della mostra)

Con gli anni, buona parte dei reperti carbonizzati ercolanesi finirono nei depositi per essere sottoposti a più aggiornati criteri di restauro e conservazione. Solo saltuariamente, qualcuno di essi faceva la sua comparsa in una mostra archeologica. Mai però si pensò ad allestirne una dedicata unicamente a questa tipologia di oggetti. Oggi la lacuna è colmata da Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano, a cura di Francesco Sirano, direttore del Parco Archeologico di Ercolano, e dell’archeologa Stefania Siano, in corso fino al 31 dicembre nella settecentesca reggia di Portici, già residenza estiva dei Borbone e sede dell’Herculanense Museum prima che i tesori rinvenuti negli scavi vesuviani venissero trasferiti nell’attuale Mann di Napoli.

Centro dell’esposizione sono 120 manufatti lignei risparmiati dalla catastrofe del 79 d. C. e restituiti a noi dal lavoro certosino di operai, restauratori, architetti e archeologi succedutisi nella gestione del sito. Si tratta di armadi, tripodi, sgabelli, letti, tavole, larari a forma di tempietto, piccole sculture, compresa la culla di cui parlavo, ai quali vanno aggiunti, essendo Ercolano una cittadina sul mare, la carena di una barca da pesca, un dritto di prora a forma di serpente, un argano verticale, dei remi; ma anche oggetti più minuti come una serie di tavolette incerate con ancora le loro scritte graffite e dei portamonete con relativo contenuto.

Molti reperti, pur presentandosi carbonizzati (non mancano però rarissimi esempi in legno ancora “vivo”), conservano, tuttavia, la loro forma originale e la raffinatezza delle decorazioni intagliate, indice di un artigianato di qualità. Fra loro, troviamo esposte per la prima volta alcune delle più recenti scoperte, come il sorprendente controsoffitto a lacunari dipinti dalla Casa del Rilievo di Telefo e i mobili rivestiti in avorio dalla Villa dei Papiri.

A conferma di quanto si conosce dalle fonti scritte, dagli affreschi e dai rilievi giunti fino a noi, questi oggetti costituiscono anche una opportunità unica per ricostruire le antiche tecniche di falegnameria, carpenteria ed ebanisteria. Nella sala dedicata alla lavorazione del legno – la “materia” del titolo – l’immersione del visitatore nella quotidianità di un’epoca remota è favorita anche dal confronto tra attrezzi ercolanesi e quelli di uso comune ancora oggi: sorprende quanto poco sia cambiata la loro forma nei secoli! Ma è l’intero percorso espositivo ad avvicinare in modo nuovo e originale l’uomo di oggi a quello del passato, all’uomo di sempre.

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